“Una punta di Sal”. La Donna ieri e oggi

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
07 Marzo 2021 18:58
“Una punta di Sal”. La Donna ieri e oggi

Le donne di tutti i paesi civili hanno scelto una data per celebrare la festa della donna: l’8 marzo. In questa giornata la donna pone tutte quelle rivendicazioni che sino a oggi non ha ancora ottenute e la cui conquista è indispensabile per la valorizzazione della sua personalità e per il progresso dell’umanità intera”. Era il testo di un volantino del 1948 che invitava le donne italiane a rivendicare i propri diritti celebrando la Giornata Internazionale della Donna in cui  è tradizione regalare una mimosa, pianta dai fiori gialli e profumati.

L'usanza è tipicamente italiana, in quanto in altri Paesi l' omaggio floreale per la festa della donna non è legato alle mimose. Ma perché in Italia si è scelto di celebrare l'8 marzo proprio con questo tipo di fiore?  Occorre ripartire dal fatto che l'ONU ha istituzionalizzato la festa della donna solo nel 1977, rendendolo un appuntamento riconosciuto in tutto il mondo. In precedenza, in Italia la ricorrenza dell'8 marzo era ritenuta da alcuni una cosa “di sinistra”, per via delle sue origini storiche: nel 1921, a Mosca, la Seconda conferenza Internazionale delle Donne Comuniste aveva infatti proclamato l'8 marzo "Giornata internazionale dell'operaia".

L'introduzione in Italia è invece opera dell'Unione donne italiane (Udi), associazione di donne provenienti dal PCI, PSI e Partito d'Azione, che l' 8 marzo 1945 decise di celebrare nelle zone dell'Italia libera la prima giornata dedicata alla donna. Terminata la guerra, nel 1946 la festa fu estesa in modo 'ufficioso' nel resto del Paese, accompagnata per la prima volta dalla mimosa. A proporre questo fiore furono tre esponenti dell'Udi, Teresa Noce, Teresa Mattei e  Rita Montagnana, che vedevano nella mimosa una soluzione pratica (fiorisce a marzo) ed economica, poiché facilmente reperibile nei campi.

Secondo i resoconti dell'epoca, alcuni politici, tra cui il vice segretario del PCI Luigi Longo, avrebbero preferito la violetta, che era un simbolo della sinistra europea. Tuttavia le donne dell'Udi misero il loro veto, perché si trattava di un fiore costoso e difficile da trovare. Tornando sull'argomento anni dopo, l'ex partigiana Teresa Mattei ricordò in un'intervista che la mimosa era "il fiore che i partigiani erano soliti regalare alle staffette: poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente".

La festa dell’8 marzo si fa risalire, quasi sempre,  alla commemorazione delle oltre cento operaie – e operai -, morti il 25 marzo del 1911 nel rogo dell’edificio newyorchese della Triangle Waist Company, in cui lavoravano in condizioni terribili. Resta ancora un mistero capire come la vicenda sia stata associata alla festa della donna, insieme alle tante altre versioni sulla scelta della data. In Italia la ricorrenza prese piede timidamente negli anni Venti solo tra le operaie delle grandi fabbriche, eclissandosi nella clandestinità durante gli anni bui del fascismo, per affermarsi definitivamente dopo la Liberazione, quando l’8 marzo del 1946 venne celebrata ufficialmente la prima Giornata della donna.

Era l’alba di una nuova era. La donna di oggi è lavoratrice e cittadina, non può sottostare al potere dell’uomo e la sua forza lavoro, da sempre esistita nella storia, ma non sempre riconosciuta, oggi ha un importante peso in piena società industrializzata, soprattutto da un punto di vista economico e produttivo. La donna di oggi riesce ad essere lo specchio del passato, ma anche la proiezione nel futuro. La donna manager, la donna presidente del consiglio, la donna presidente di Confindustria non sono però un risultato occasionale, ma il risultato di una guerra fatta di tante battaglie vinte e altrettante perse, ma che alla fine l’hanno portata, nel mondo occidentale, all’apice della piramide.

Anche in Sicilia. Sciamano dappertutto. Il capo nascosto in uno scialle nero e le gonne abnorme nere che arrivavano a coprire le caviglie, è un abbigliamento che si deve andare a cercare all’interno della Sicilia e solo tra persone anziane. Le donne hanno messo i pantaloni, si vedono dappertutto, nelle scuole, sulle strade , le ragazze camminano sciolte, disinvolte, non più a capo chino, e non si lasciano intimidire dagli sguardi dei maschi, anche se sfacciati. La frattura tra la siciliana di stampo tradizionale e quella di oggi, salta agli occhi anche a Mazara del Vallo, specialmente nelle viuzze della “Marina”.

Lì, una volta,  stavano a fianco i panni sovrabbondanti e scuri delle nonne e i jeans e le magliette attillatissime delle nipoti. Come imponeva il modo di pensare di una società chiusa, conservatrice e quasi tutta agricola e marinara, se la donna doveva uscire di casa per guadagnarsi un salario, poteva farlo solo andando a lavorare nei campi  o nelle industrie del pescato. A Mazara ne esisteva una, tanti anni fa, era un’industria in cui si salava il pesce. Oggi, negli anni in cui Mazara era la prima marina d’Italia per numero di natanti, non esiste nessuna industria del pescato (tipo Findus per intenderci) .

Un peccato originale dei mazaresi che non hanno avuto  vista lunga con un prodotto (il pesce) che doveva essere semplicemente lavorato e venduto. Ed invece “l’oro” di Mazara è stato dilapidato in ville e villette a Tonnarella ed anche in costose vasche di idromassaggi Jacuzzi di Pontedera tanto che l’industria che li ha forniti ha indicato in Mazara, alcuni anni fa,  la piazza nella quale aveva venduto di più. Ma questa è un’altra storia. Salvatore Giacalone    

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