“Una punta di Sal”. I veri ricchi che non investono, i finti ricchi e la povertà che cresce

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
21 Febbraio 2021 09:18
“Una punta di Sal”. I veri ricchi che non investono, i finti ricchi e la povertà che cresce

Su e giù per il Paese. Al Nord ci sono gli imprenditori che sperano nella “flat-tax”. Al Sud coloro che attendono il reddito di cittadinanza. Poi, in mezzo, ci sono quelli che inneggiano ai respingimenti in mare per paura che le acque portino forza lavoro in grado di sottrarre quelle residue opportunità che restano ai nostri disoccupati. E ancora. Ci sono quelli che sono favorevoli non solo al censimento nei campi rom, ma anche di tutti i diversi in generale perché a vario titolo scomodi.

Ma questa è la guerra tra poveri. Vecchi e nuovi poveri, figli di questo tempo di crisi a cui nessuno, per troppi anni, ha dato ascolto, né voce. Una guerra di solitudine e, insieme, di appartenenza. Una guerra quotidiana in cui sono venuti a mancare non solo i soldi per mettere il piatto a tavola, ma pure le certezze, per non parlare dei diritti. Una guerra senza vincitori, soltanto vinti, e un solo arbitro possibile, lo Stato. Perché unicamente quando le Istituzioni si riapproprieranno del proprio ruolo (e pure di un po’ di autorevolezza), forse potremo dire di essere sulla via dell’armistizio.

Soprattutto è mortificante per chi crede che la politica, per una Comunità, sia programmazione, progettazione, sviluppo e crescita. E invece, l’arretramento lo cogli proprio nella mediocrità (oltre che nella scarsa quantità) di lavoro che questo Paese riesce ad offrire ai cittadini. Ecco perché non ci si può sdegnare se, mancando tutto, in tanti decidono di scagliarsi contro l’altro, contro il prossimo, anche se sta nella loro stessa condizione. È questa la guerra tra poveri, fatta di paura e che non ha necessariamente bisogno che l’altro sbarchi da una costa lontana.

Ma che certo, se lo vede arrivare, non ha alcun motivo per accoglierlo. Inutile dire che l’altro siamo noi stessi. Una pace sociale che non si può rinviare perché qui chi sta sempre peggio non ha altro da fare se non affilare coltelli in direzione di coloro che sono ancora più indietro.  Perché ormai quello che conta sono i fatti. E i fatti dicono che siamo poveri e soli. Anzi, siamo al buio. E ci resteremo fino a quando non si girerà l’interruttore delle idee, per il lavoro, la buona formazione, lo sviluppo.

Questa è la scommessa che fa la differenza tra la guerra e la pace. Eppure si registra un fatto anomalo che sembrerebbe inspiegabile ed invece la spiegano bene gli economisti. Con la pandemia del Covid-19 è aumentato il denaro sui conti correnti, di ben 126 miliardi nel giro di un anno. È una delle tendenze che emergono dall’Indagine sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani nel 2020, curata dalla Direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo e dal Centro Einaudi. Come mai con il Covid-19 è aumentato il denaro sui conti correnti? “La pandemia – si legge nell’indagine -  ha congelato i piani di acquisto e di investimento dei privati, aumentando la liquidità”.

Le famiglie mettono denaro da parte anche per far fronte agli imprevisti. Nel 2020, infatti, il 47,1% degli intervistati, ossia quasi la metà, è stato costretto ad attingere ai risparmi familiari; “ciononostante, almeno fino all’inizio del secondo lockdown – precisa l’indagine –  in quattro casi su cinque il patrimonio è risultato poco intaccato dai prelievi di emergenza”. Si rimane però abbagliati da persone che sfoggiano benessere: che sia la macchina sportiva, o un vestito firmato o una casa spettacolare.

“Quanto sarà costata? Chissà quanto guadagna…” domande che ci facciamo spesso. Il fenomeno riguarda anche Mazara (in copertina una panoramica dal mare) che è una città del mondo. Vi sono dati stridenti; su circa 52 mila abitanti, il tasso di disoccupazione è pari al 29,6%. Nel territorio comunale vi sono 17.070 edifici, di cui il 94.3% risulta utilizzato. Il 68.57% della popolazione residente vive in abitazioni di proprietà mentre il 12.97% vive in abitazioni in affitto. Sulle strade sfrecciano le auto di grossa cilindrata tra i venticinquemila e i quarantamila euro ed anche oltre.

Sembra che i depositi nei 9 sportelli bancari della città superino un miliardo e mezzo (nel 2015 superavano il miliardo), oltre quelli postali e azioni e obbligazioni ben conservati nelle banche anche estere. il coronavirus ha inciso notevolmente negli affari e nel commercio ma i depositi bancari o postali si sono mantenuti e forse aumentati. Ed allora? I poveri sono rimasti poveri ma poi ci sono pure i poveri per finta, cioè quei  mazaresi che lamentano sempre che si sta male, che non c’è moneta circolante e giustificano che le auto di grossa cilindrata si pagano (quando si pagano) con lunghi finanziamenti.

Ma da dove arrivano questi soldi?. La marineria, una volta fonte di ricchezza, è in crisi da anni, l’edilizia segna il passo perché non si costruisce più come negli anni 80, il commercio ha le serrande abbassate, gli agricoltori si lamentano, ed allora? Si dirà: c’è il lavoro nero, ci sono le pensioni dei nonni, dei padri, delle madri, le eredità degli avi, ma principalmente ci sono gli stipendi sicuri che arrivano dagli Enti pubblici, dai dipendenti degli istituti scolastici, dalle piccole e medie industrie affidabili dei privati, dai professionisti, medici, avvocati, ingegneri, etc.

Ecco forse la verità sui depositi bancari che aumentano ma che non danno ricchezza alla città perché non producono anzi, paradossalmente concorrono ad aumentare la povertà. Nonostante la profonda crisi  che attanaglia il territorio, quindi, i soldi ci sono e banche e i promotori finanziari lo sanno. Probabilmente (mettiamola così), il dato è il frutto di ricchezze accumulate negli ultimi 20 anni. Somme accantonate e non investite. Di certo, qualcuno  di soldi ne ha molti e forse non ci tiene farlo vedere e non investe in attività.

Lui è ricco e non è finto. Tiene i suoi soldi fermi nelle banche che, a loro volta, li vanno ad investire al Nord o all’estero. Ma questa è un’altra storia. Salvatore Giacalone

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