Un nuovo metodo (senza additivi chimici) per conservare i gamberi del Mediterraneo. Lo studio del dott. Gioacchino Bono (CNR)

Redazione Prima Pagina Mazara
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25 Ottobre 2018 11:00
Un nuovo metodo (senza additivi chimici) per conservare i gamberi del Mediterraneo. Lo studio del dott. Gioacchino Bono (CNR)

Oggi più che mai emerge la necessità di valorizzare il prodotto pescato non alterandone le qualità organolettiche al fine di garantire anche, anzi soprattutto, la sicurezza alimentare. Una delle specie ittiche alla quale spesso rivolta l’attenzione dei consumatori e degli studiosi è il gambero del Mediterraneo; alla pesca di questo crostaceo è stata impegnata (e lo è ancora anche se le difficoltà aumentate per diversi motivi) la marineria di Mazara del Vallo, o meglio quel che ne resta considerata la progressiva diminuzione della sua flotta negli ultimi 15 anni.

Su questo importante fronte, da oltre un ventennio la comunità scientifica internazionale è fortemente impegnata nella ricerca di soluzioni alle tradizionali tecniche di conservazione del pescato i cui standard, soprattutto in alcune realtà, sono ben al di sotto di quelli su cui si basa l’industria agroalimentare italiana nel suo complesso. Uno di questi studi è stato effettuato presso i laboratori dell’IAMC CNR di Mazara del Vallo ed ha avuto come obiettivo principale quello di conservare i pregiati crostacei siciliani (gamberi rosa, gamberi rossi e scampi) senza alcun additivo chimico.

Il gambero, ed in generale i crostacei, del Mediterraneo è considerato un prodotto pregiato (vedi il prezzo di mercato) ma per il quale necessitano maggiori informazioni e garanzie. Abbiamo intervistato il dott. Gioacchino Bono, ricercatore dell’IRBIM CNR di Mazara del Vallo, il quale ha condotto uno studio dimostrando la possibilità di conservare i gamberi senza additivi chimici senza alterarne le qualità. Dott. Bono quali sono state le motivazioni relative al suo studio?   “La pesca, in particolare quella ai crostacei, rappresenta oggi uno degli assi portanti della filiera ittica nazionale.

La produzione nazionale annua di gamberi rosa, gamberi rossi e scampi (le tre specie di crostacei decapodi più pescate) si attesta infatti intorno a 13.000 tonnellate annue (dato del 2015) con un giro di affari che supera i 200 milioni di euro. Dal punto di vista storico l’interesse per questi pregiati crostacei del Mediterraneo è apparso subito dopo la seconda guerra mondiale, in concomitanza con il boom economico che ha interessato gran parte dei paesi europei, compresa l’Italia. Proprio in questo periodo la costruzione di barche a strascico sempre più potenti nonché la disponibilità di ghiaccio e dei primi additivi chimici a base di solfiti hanno contribuito in maniera particolare allo sviluppo di questa attività di pesca.

Successivamente, cioè in quei 40 anni compresi tra la guerra e la fine degli anni ‘80, gran parte dei guadagni accumulati dai pescatori attraverso la pesca a strascico sono stati investiti solo per aumentare la capacità di cattura delle loro barche e nulla, o poco, è stato invece fatto per migliorare le tecniche di conservazione e valorizzazione del pescato. Oggi, a valle dei tanti studi alieutici che individuano l’eccessivo sforzo di pesca quale principale causa del drammatico calo di pesci, crostacei e cefalopodi, il messaggio che ci viene affidato è abbastanza chiaro: bisogna cambiare direzione, ossia riportare i tassi di sfruttamento delle risorse pescabili dentro i limiti della sostenibilità.

E dunque, l’unica chance che rimane ai pescatori per compensare la perdita di profitti derivante dall’obbligo/consapevolezza di dover pescare meno è quella di puntare alla valorizzazione del pescato combinando, ad esempio, le tradizionali tecniche di congelamento a bordo dei crostacei con nuove tecnologie in grado di ridurre l’uso degli additivi chimici a cui si è prima accennato, i “solfiti”. Bisogna insomma puntare a prodotti più buoni, più sicuri e meno deperibili”. Ci parli nel dettaglio del suo esperimento sul nuovo metodo di conservazione dei gamberi    “E’ stato un esperimento, primo al mondo, in cui, direttamente a bordo in un peschereccio della flotta alturiera del luogo, campioni di tutte e tre le specie prima specificate sono stati conservati in atmosfera protettiva e congelati senza alcuna traccia di solfiti o altri additivi chimici di recente introduzione, come ad esempio il 4-Hexysilresorcinol”.

Perché eliminare gli additivi chimici? “Eliminare i solfiti significa prima di tutto ridurre l’effetto di tali sostanze sul nostro corpo ed evitare quindi l’insorgenza di malattie correlate come allergie, asma, ecc…; e significa anche consumare un prodotto il cui delicato sapore (e odore) originario non venga artefatto dal pungente odore dell’anidride solforosa e suoi derivati. Evitare l’uso di “nuove molecole” (vedi il caso del 4-Hexysilresorcinol, molto utilizzato all’estero e in crescita anche in Italia) significa evitare i possibili effetti estrogenici che questa sostanza potrebbe determinare sul nostro organismo.

Alla luce delle considerazioni sin qui fatte, in particolare sul ruolo che la pesca dei crostacei svolge nell’economia delle città costiere e, soprattutto, sulle criticità che emergono in seguito alla presenza di additivi chimici, un progetto di ricerca finanziato dal MIPAAF ci ha permesso innanzitutto di approfondire il fenomeno dal punto di vista biochimico e soprattutto di individuare una tecnologia di confezionamento dei crostacei senza additivi. Il passo successivo alla validazione scientifica è stato quello della pre-industrializzazione del processo/prodotto.

Quindi, nel 2015 i risultati raccolti nella prima fase di studio sono stati messi a disposizione di un motopesca della flotta di Mazara del Vallo che nel gennaio 2016 è stato equipaggiato con un sistema automatico per lo skin-packaging di crostacei senza additivi chimici. Questa seconda parte del progetto è stato possibile svilupparla grazie al progetto Bandiera del CNR “RITMARE”. (in foto collage di copertina il dott. Gioacchino Bono e la termosaldatrice per lo skin-packaging installata a bordo del motopesca Twenty-Two) La fase di pre-industrializzazione del nuovo metodo di confezionamento a bordo dei crostacei? “A bordo del motopesca Twenty-two (vedi foto n.2) della flotta di Mazara del Vallo attrezzato con una termosaldatrice Ypsilon (CA.VE.CO., Brescia) modificata per uso marino, campioni di gamberi rossi appena pescati sono stati rapidamente posti in vaschette ad elevata barriera all’ossigeno e quindi congelati a bordo a –35 °C.

Dopo otto ore circa, quando gran parte dell’acqua tissutale si è trasformata in ghiaccio, il prodotto è stato confezionato sotto skin con lieve compensazione a base di azoto puro, un gas inerte che non modifica minimamente la qualità originaria del prodotto. La compensazione con gas inerte si è resa necessaria per ridurre quanto possibile il rischio di foratura del film da parte dell’esoscheletro dei crostacei (notoriamente ricoperto di spine). I campioni così ottenuti sono stati quindi stoccati a −20 °C e inviati in laboratorio per essere sottoposti a verifiche periodiche, volte a monitorare gli effetti di questa nuova tecnica sulla qualità generale del prodotto, in particolare sulla melanosi.

Il nuovo metodo di confezionamento sui gamberi rossi dopo cinque mesi di stoccaggio a –18 °C evidenzia come sul prodotto non si rilevino segni di annerimento del carapace, che si presenta abbastanza lucido, né segni di disidratazione, né tanto meno segni evidenti (ingiallimento) di ossidazione lipidica. In definitiva quali sono stati i risultati finali dello studio sulla la qualità del prodotto? Come anticipato nell’introduzione, la fase di pre-industrializzazione del processo sin qui descritta è stata a sua volta preceduta da un approfondito studio in cui sono stati monitorati gli effetti del confezionamento anaerobico (N2 100% e N2 50% – CO2 50%) e del congelamento sia sulla componente lipidica che su quella proteica di gamberi (rosa e rossi) e scampi.

Nel corso di tale studio, durato oltre un anno, sono stati in particolare esaminati il pH, l’azoto basico volatile totale (ABTV), l’ossidazione dei grassi attraverso la reazione dell’acido tiobarbiturico (TBARS) e il grado di annerimento (melanosi): in tutti i campioni non trattati con additivi chimici tali valori si sono mantenuti pressoché costanti fino al sesto mese di conservazione a −18 °C (in foto n.3 esemplare di gambero rosso conservato a bordo sotto skin e senza additivi).  Attraverso gli studi effettuati presso il CNR (sia quello preliminare che quello di pre-industrializzazione) si può affermare che un rapido congelamento di gamberi e scampi subito dopo la cattura, combinato con il confezionamento sotto N2 (100%), oppure sotto skin compensato sempre con poco azoto, è da considerarsi un valido sostituto all’uso di additivi chimici.

Quindi è possibile oggi incentivare lo sviluppo di nuovi prodotti qualitativamente migliori e più sicuri, elementi questi a cui il consumatore è sempre più attento”. Francesco Mezzapelle

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