Ultime della sera. QUELLO CHE CI RIMANE

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
26 Marzo 2020 18:47
Ultime della sera. QUELLO CHE CI RIMANE

Sono giornate in cui ci ritroviamo a fare i conti con tante cose, e tra queste vi è la parte più profonda e inesplorata di noi, con cui in tempi normali fatichiamo a comunicare, presi ad inseguire aspetti più urgenti e indifferibili della vita. E' un tempo di incertezza, di paure, di notti insonni e di risvegli all'alba col cuore in allarme. E' un tempo altalenante, spesso trascorso a leggere dati, ad analizzarli, ad osservare grafici, ad aspettare una notizia buona, un cambio di passo. Rincorriamo numeri che ci vengono snocciolati come un rosario, dove le giornate sono scandite dagli appuntamenti quotidiani con i bollettini della Protezione civile, pronunciati come un'orazione, tra lo smarrimento generale, tra chi cerca di decifrarli e chi cerca un numero, un cambio di curva, un trend positivo a cui appigliarsi.

Cosa è cambiato lo sappiamo, cosa ci ha cambiati pure. Cosa abbiamo perso lo abbiamo davanti agli occhi, ce lo diciamo, ce lo raccontano in tv, lo leggiamo sui giornali. Abbiamo perso la libertà, abbiamo perso gli abbracci, abbiamo perso le nostre sicurezze, abbiamo perso la scuola, molti hanno perso il lavoro, tanti hanno perso un parente, un conoscente, un nonno. Tanti, troppi, hanno perso la salute. Molti, moltissimi, la fiducia nel futuro. Ma in un momento di svolta epocale come questo, è giusto concentrarci solo sulle cose perdute o possiamo cercare un appiglio nelle cose ritrovate,  riscoperte, in quello che abbiamo imparato, e che ci rimane? Perchè c'è sempre qualcosa che rimane tra le pagine chiare e le pagine scure, come dice il poeta.

E così mi sono messa a cercarle, e ho voluto fare un mio piccolo personale elenco delle cose ritrovate. Le cose da salvare, insomma, da questo brutto periodo. La scienza. Sembrava ormai la sconfitta per eccellenza, caduta sotto i colpi mortali dei novax, dei complottisti, dei laureati all'università della strada, dell'uno vale uno, di chi si curava su google e non aveva più fiducia nei medici perchè i farmaci e i vaccini servivano ad arricchire le case farmaceutiche, di chi pensava di guarire dai tumori con il limone e il bicarbonato.

Adesso è arrivato un virus che ha cancellato con un colpo di spugna ogni forma di negazionismo e di oscurantismo, la gente guarda con ammirazione e gratitudine il lavoro dei medici negli ospedali e con attesa e speranza quello dei ricercatori dentro i laboratori. Si è tornati a credere nell'intelligenza, nella competenza, nella ricerca e a comprendere quanto male possa fare inseguire le mode. La solidarietà e il senso di comunità. Diciamocelo pure: avevamo la libertà, avevamo il benessere, avevamo la salute, ma il nostro livello di aggressività e di odio sociale aveva raggiunto vette mai toccate.

Nell'altro trovavamo sempre un nemico: da insultare, da odiare, da emarginare, nella migliore delle ipotesi da ignorare. Perchè era nero, perchè era povero, perchè era musulmano, perchè era di un'altra idea politica. Davanti a un virus che non guarda in faccia nessuno, abbiamo abbassato i toni, abbiamo imparato a fare squadra, abbiamo capito il valore dello stare uniti, del fare comunità. Il dolore ci ha cambiati. Quanto è definitivo questo cambiamento... lo scopriremo solo vivendo. I rapporti personali.

Convinti come eravamo di essere ormai troppo iperconnessi e alienati per godere delle nostre relazioni amicali, avevamo finito per sottovalutare il valore e il potere di certe presenze nelle nostre vite, in particolare degli amici. Sembravano vivere in noi un po' sottotraccia, e invece ci mancano tantissimo. Ci mancano le chiacchierate davanti ad un caffè o ad una birra, ci manca la pizza insieme a loro, condividere con loro le nostre passioni, che siano lo sport, il teatro, il cinema o i libri.

Il virus una mano, diciamocelo pure, ce l'ha data, a capire chi sono davvero le persone a noi care, chi è musica e chi rumore di sottofondo, chi non puoi fare a meno di cercare , di chiedergli “come stai?, ti serve niente?,  hai paura?” e chi si è perso tra carte, fogli di giornale, pizza da infornare, bollettino delle 18. La cucina. Non riusciamo a fare niente delle centinaia di cose che ci eravamo ripromessi di fare in quarantena, né pulizie straordinarie né la lettura dei libri accumulati nell'ultimo anno sul comodino, ma il tempo di cucinare, quello, lo troviamo.

E non per la nouvelle cousine né per il finger food né per sperimentare la cucina macrobiotica o vegana. No, noi ci approcciamo ai piatti della nostra tradizione, noi facciamo il pane, facciamo la pizza, facciamo le arancine, facciamo i ravioli e le sfincie. E' come se sentissimo il bisogno di entrare in risonanza con il nostro passato, con la nostra storia, di ripercorrere i gesti antichi delle nostre nonne, delle nostre zie, e rielaborarli in noi. Di tramandarli, per far si che il passato attraversi questo presente incerto e si trasferisca nel futuro.

Ritroviamo cosi la nostra  memoria e la nostra identità, la liberiamo dopo decenni in cu si era stratificata dentro di noi, seppellita sotto qualcos'altro che ritenevamo più importante. Le nostre mani conservano quella memoria, niente si è perso. Il tempo per fare le cose, il tempo per pensare, il tempo per annoiarci. In una parola, il Tempo. Quello che avevamo perduto. La democrazia. Questo virus ci ha resi uguali. Colpisce re e regine, capi di stato e ministri, calciatori e vip. Ci ha livellati nella malattia.

Non so se le conseguenze a lungo termine saranno altrettanto democratiche, soprattutto sul fronte economico e del lavoro. Ci sono categorie sociali e lavorative che ne usciranno devastate. Ma magari sarà l'occasione per una ridistribuzione delle ricchezza, per una ripartenza, un rimescolamento delle carte, un'opportunità storica per poter rimboccarci tutti le maniche e partire insieme sul nastro di partenza, come nel dopoguerra. La scuola. Molti non ci avrebbero scommesso un euro, sulla capacità di adattamento della scuola di oggi.

Eppure c'è un esercito di insegnanti che, con tutti i disagi del momento, manda avanti la carretta, lavora, impara ad usare la tecnologia, obbliga i ragazzi ad usare proficuamente questo tempo, spiega, insegna, racconta il momento storico con gli strumenti che ha a disposizione. Mai come adesso ci siamo resi conto di quanto sia importante la scuola, come luogo fisico, per i nostri ragazzi, per la loro crescita. Di quanto la scuola sia l'unica istituzione che riduce le diseguaglianze, cercando di non lasciare indietro nessuno.

Ci manca tantissimo la scuola, ma ringrazio tutti gli educatori per quello che stanno facendo, per ogni singolo sforzo, per ogni tassello che ogni giorno aggiungono. Ognuno fa quel che può, qualcuno di loro anche di più. Internet. E' finita in fondo alla lista, ma è prima, insieme alla scienza. Perchè senza internet non esisterebbe niente di tutto ciò di cui abbiamo parlato. Non esisterebbe lo smart working, la didattica a distanza, le videoconferenze, skype, le chat di gruppo, i social, la ricerca, lo studio, l'informazione online.

Concludo con le parole di Riccardo Luna, oggi su Repubblica: “Ho pensato che se vinceremo questa battaglia lo faremo perchè gli scienziati di tutto il mondo stanno lavorando senza bandiere. Uniti. Usando la rete di Internet per quello che veramente è: un'arma di costruzione di massa. Mi è tornato in mente quello che disse Rita Levi Montalcini nel 2009, quando compì cent'anni e le chiesero quale fosse stata secondo lei la più grande invenzione del 900. E lei diede una risposta che a tanti dovette sembrare stramba, eccentrica, e invece adesso capisci quanto avesse ragione.

La più grande invenzione? disse. E me lo chiede? Internet” Catia Catania

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