Ultime della sera: “On the road”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
18 Novembre 2020 18:12
Ultime della sera: “On the road”

L'uomo crea il mito inseguendo l'eternità, ma anche i miti svaniscono. Non ce ne accorgiamo nemmeno, perché li custodiamo dentro di noi. Ma, non ammaliando pure le generazioni successive, con noi moriranno. Prendiamo il mito della strada, che detto cosi, non suona nemmeno suggestivo od accattivante. Sarà perché, da quando esistono le compagnie low cost, a nessuno viene più in mente di attraversare un continente sulla strada, fosse pure la mitica (per noi) road sixty six e sia pure a bordo di un mitico (per noi) bus Greyhound.

Ma, per una generazione cresciuta guardando all'America fin dall'asilo, vivere 'on the road' ha rappresentato un desiderio, il più delle volte represso, ma ripetutamente alimentato da libri, film, canzoni, magari pure racconti orali di amici che avevano avuto l'opportunità di vivere esperienze di un certo tipo. ‘On the road’ sappiamo, è, prima di tutto, un romanzo, scritto da Jack Kerouac, e che non potevi non aver letto, uscendo dagli anni '70, salvo non essere considerato indegno di stare in società; non che qualcuno di noi avesse mai avuto a che fare, effettivamente, con la beat generation, di cui il libro rappresenta si il manifesto, ma un manifesto affisso da gente nata comunque prima della seconda guerra mondiale.

Naturalmente, il libro non ha una vera e propria trama: narra di un pugno di amici che, ad un certo punto, decide di muovere dalla costa orientale a quella occidentale degli Stati Uniti approfittando di tale che, dovendo trasferire un'auto dall'altra parte degli States, gliela affida incautamente; di quell'auto rimarrà ben poco e, se devo essere sincero, è tutto quello che ricordo del romanzo oltre al fatto che, nel bel mezzo degli Uniti esiste una città che si chiama Des Moines e che il monotono, immenso Midwest, attraversato dai protagonisti, rappresenta una realtà ben diversa da New York, Boston o San Francisco, con cui noi europei tendiamo a confondere gli interi Stati Uniti, salvo scoprire, ogni 4 anni, che il centro degli USA si colora sempre di un colore diverso, rispetto agli Stati Costieri, quando si sceglie un nuovo Presidente.

Banale, vero? Eppure quel romanzetto ispirò un robusto filone della cinematografia americana e non so quanti album delle principali rock stars, e non solo: penso a Bob Dylan, ai Deep Purple, a Jackson Browne, anche ai Rockets, oggi dimenticati, che proposero una cover dei Cannet heat in versione tecno-disco: On the road again, per l’appunto; alla cover della bellissima The road di Jackson Browne pensò invece in italiano Ron; in compenso, la Route 66 è degnamente cantata dai Manhattan Transfer.

Ma veniamo ai film: il capostipite (quantomeno per gli USA, come vedremo poi) rimane per me Duel, opera prima di Steven Spielberg, uscito nel 1971, che, peraltro, rimarrà unico, nel suo genere, perché la strada, esaltata nel rimanere l'unico set per tutto il film, qui rappresenterà solo il palcoscenico di una crescente tensione tra un automobilista ed un malvagio autotreno personificato (il camionista non si vedrà mai) fino alla spettacolare vittoria del bene sul male, rispettivamente riproposti nelle dimensioni di Davide e Golia.

Ma tutti gli altri hanno un leitmotiv comune: penso a Convoy, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Thelma & Louise, un Mondo perfetto, ma potrei continuare, per esempio con Fandango, od anche roba come Sesso e fuga con l'ostaggio, di certo non all'altezza degli altri, ma che si cita, giusto per far cogliere quanto gli sceneggiatori USA siano affezionati al tema, come dimostra il fatto che anche capolavori assoluti come The Blues Brothers o Forrest Gump, opere di più complesso intreccio, non mancano di proporre sequenze on the road, sia con tradizionale sterminio di automobili come nel fragoroso film di John Landis, che in originale versione appiedata, come nella delicata pellicola di Robert Zemeckis.

Leitmotiv, peraltro, già magistralmente anticipato, nel 1962, dal primo, vero, capolavoro del cinema on the road: il Sorpasso dell'italiano Dino Risi, che, magari, Kerouac manco lo lesse mai. Ma qual è questo tema? Bella domanda, talmente suggestiva che ispirò una memorabile gag a ‘L'altra domenica’ di Renzo Arbore, dove un giovanissimo Roberto Benigni, nelle vesti di un improbabile critico cinematografico, doveva spiegare al colto ed alla inclita, il ‘messaggio’ del film proposto per l'occasione, come sussiegosamente si diceva allora, e come banda Arbore non mancava, puntualmente, di sbertucciare.

Le risate scattavano quando Benigni accennava a malapena alla trama, perché il film non lo aveva visto, mentre Arbore lo incalzava spietatamente: "il messaggio, Benigni, non la trama, il messaggio!" Di Convoy, riusci solo a dire, ripetendolo a mò di tormentone: "Convoy, di Sam Peckinpah è un film on the road!" Noi, studenti dell'epoca, ci identificavamo in Benigni, pensando ai nostri tentativi di superare un'interrogazione, leggendo 4 cose 5 minuti prima, e ridevamo da matti. Ora però tocca a me spiegare il messaggio, non solo del film, ma di tutta la produzione artistica che trae inspirazione "on the road".

Il messaggio è che on the road non si va da nessuna parte. Alla fine della strada, nella peggiore dell'ipotesi c'è la fine, vuoi perché, come in Quel pomeriggio di un giorno da cani ed in Un mondo perfetto, si finisce, appunto, sparati, vuoi perché, come in Thelma & Louise, o nel Sorpasso (sia pure solo per uno solo dei 2 protagonisti) ti attende, addirittura, un baratro in cui precipitare. Nella migliore, invece, o si ripiglia un'altra strada, come in Convoy (dove però si celebra il funerale del protagonista, sopravvissuto all'insaputa di tutti), o si finisce in galera, come nei Blues Brothers, o, semplicemente, si smette magari, perché, dopo aver percorso l'America a piedi, in lungo in largo, ci si ritrova "un po 'stanchini' (Forrest Gump).

Ma non si raggiunge proprio nulla, è proprio questo il leitmotiv, e se qualcuno ti è venuto dietro credendo in chissacché, peggio per lui (Convoy, Forrest Gump). Per dirla in termini più brutali, ed espliciti: "We are on a road to nowhere", come, tornando al rock, cantano i Talking Heads: siamo su una strada per il nulla. Però, se la percorriamo, vuol dire che siamo vivi: allora, non sarà che la strada non sia altro che la vita?   Danilo MARINO

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