Ultime della sera. Non è il tempo delle Cattedrali

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
07 Aprile 2020 19:54
Ultime della sera. Non è il tempo delle Cattedrali

Questo non è il tempo delle Cattedrali, è il tempo della Responsabilità. Il tempo in cui la Chiesa si piega, o meglio si adegua, alle leggi dello Stato e della Scienza. E' stata una domenica delle palme senza ramoscelli d'ulivo e senza benedizioni, senza bimbi che sventolano le palme in processione, ma per chi crede Gesù è entrato a Gerusalemme come ogni anno. Sarà una Settimana Santa senza l'ultima cena del giovedì, senza il venerdì della crocifissione e morte di Cristo, senza il sabato di veglia e senza la celebrazione della Resurrezione della domenica di Pasqua In duemila anni la Chiesa non si era mai fermata, i luoghi di culto non si erano mai svuotati.

Neanche le guerre, le carestie, le pestilenze e i terremoti avevano mai fermato la Settimana Santa. Anzi, era proprio quello il tempo delle processioni, delle celebrazioni, della con-divisione della preghiera. Esiste la Chiesa senza i suoi riti, ci chiediamo? Una Chiesa de-materializzata, de-ritualizzata, una Chiesa vuota è ancora una Chiesa? Ha destato molto scalpore la bislacca proposta del leader del principale partito d'opposizione di aprire le chiese per Pasqua, consentendo l'accesso ai fedeli per la celebrazione eucaristica perché, a suo dire, “ la scienza da sola non basta”.

Tralasciando l'ultima affermazione che da sola dà il senso della statura culturale dell'uomo, è sul messaggio populista e opportunista del politico che approfitta della più grande tragedia nazionale degli ultimi ottant'anni per intercettare il voto cattolico, che voglio soffermarmi. Stiamo parlando di un uomo che fino a qualche mese fa era Ministro degli Interni e gestiva la sicurezza degli italiani, del leader politico che se si fosse andati ad elezioni si troverebbe oggi a gestire la crisi di questo Paese da Premier.

E come avrebbe gestito questa crisi, come avrebbe messo in sicurezza il popolo italiano? Avrebbe continuato a consentire ai fedeli di andare a Messa perché si fida più della risposta divina che della scienza? E che senso avrebbe avuto, in quel caso, chiudere le scuole, chiudere le fabbriche, chiudere gli uffici, fare la fila fuori dal supermercato per entrare ad uno ad uno? Conosce, il nostro eroe, quale era nel Medioevo (e fino al Seicento) la più rapida via di propagazione della peste? Erano le processioni, erano i momenti di preghiera collettiva, era quella religione a cui la gente si aggrappava in mancanza di ospedali, di protocolli igienici, di farmaci, di linee guida epidemiologiche.

Ma siamo nel Duemilaventi, e se anche l'uomo non è riuscito a fermare ancora le epidemie, almeno  la Chiesa, al contrario di qualche politico che pensa di vivere ancora nel Medioevo, si è evoluta. E la Chiesa, prima ancora che una cattedrale, sa di essere una comunità. Una comunità che rispetta le regole, che protegge e che si protegge, che prega quando, come e dove può. Abbiamo tutti negli occhi ancora l'immagine di Papa Francesco che prega in una piazza San Pietro deserta e questo momento di preghiera, per credenti, laici e anche atei è stata forse la dimensione spirituale più straordinaria che abbiano vissuto negli ultimi anni.

Non abbiamo avuto bisogno di essere presenti lì fisicamente per sentire di appartenere ad una comunità che chiede speranza, e a quella promessa di speranza si aggrappa, in uno dei più grandi momenti di spiritualità della Storia. Perché, come sappiamo, dentro la potenza di quell'immagine che ha fatto il giro del mondo c'era ciascuno di noi, piccolo, fragile, impaurito, lontano, peccatore, a volte scettico o miscredente. E cos'è stato questo mese per noi italiani, se non il più lungo venerdì santo della nostra Storia? E cosa sono stati i contagi, i ricoveri, i morti , le corse delle ambulanze, lo sfinimento degli infermieri, la morte dei medici, se non la nostra Via Crucis? E cosa i bollettini con i numeri che ogni sera venivano snocciolati, in un lungo, doloroso rosario? E cosa i canti nei balconi se non la nostra veglia di preghiera e di speranza? E la solidarietà, gli aiuti, la spesa donata, i volontari che portano il cibo agli anziani sfiniti di solitudine, la mano tesa verso l'altro, gli occhi stanchi dei sanitari dietro le mascherine cosa se non il ramoscello d'ulivo della domenica delle palme e l'ingresso di Gesù a Gerusalemme? Mi conforta sapere che proprio dalla Chiesa vengono i No più pesanti alla bizzarra proposta del leader leghista.

Scrive l'arcivescovo di Cosenza: “Il dolore per la chiusura delle Chiese è un atto di carità verso i nostri fratelli perché cosi facendo salveremo tante vite, perché i sedicenti portatori di critiche forse non credono che la gente muore”. Il sacerdote marchigiano don Pirri:” Le chiese sono chiuse perché noi preti rispettiamo le leggi del nostro Paese. Obbediamo ai nostri vescovi e non a te. Non usiamo il nostro popolo, ma lo amiamo. Non ci sta a cuore il consenso ma il bene comune.” E il Papa, nella messa della domenica delle Palme, ha chiuso con la formula “Il Signore sia con voi”, che come hanno sottolineato nella diretta Rai, non ha bisogno di riti, di luoghi o presenze fisiche per sprigionare il suo significato in grado di abbracciare tutti.

La Chiesa in un momento di difficoltà non rivendica la sua autonomia, ma obbedisce alle leggi dello Stato e si fa carico, con responsabilità, della sofferenza della gente. Domenica prossima è Pasqua. Non andremo in piazza per la nostra tradizionale Aurora, non andremo a Messa, molti bambini non avranno le uova di cioccolata, e cosa molto più triste, i nostri anziani resteranno soli nelle loro abitazioni, privi del tradizionale pranzo di famiglia con figli e nipoti. Ma ci sentiamo ricchi di una spiritualità ritrovata, di un senso di comunità ritrovata, abbiamo imparato a farci carico del dolore degli altri, delle difficoltà degli altri.

In questo tempo di ristrettezze e di isolamento abbiamo imparato ad apprezzare l'essenziale, a capire ciò che è importante, ad eliminare ogni fastidioso rumore di fondo. In questi giorni i morti stanno diminuendo, la pressione sugli ospedali si sta allentando, la curva dei contagi e dei ricoveri è in flessione. Allora, forse, sarà davvero una Pasqua di Resurrezione e di rinascita per il nostro Paese, quel momento tanto atteso, agognato, sognato, in cui non usciremo ancora dalle nostre case ma inizieremo ad uscire da un dolore devastante, dalla primavera più buia della nostra storia, e cominceremo a sperare che ricominciare sarà possibile.

E se questo accadrà, è perché ci siamo protetti l'un l'altro, con buona pace dei Sepolcri imbiancati che andavano in TV a recitare il rosario, spettacolarizzando senza pudore il dolore di un popolo intero. Catia Catania,

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