Ultime della sera: “Le attese…quelle terribili”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
30 Ottobre 2020 18:13
Ultime della sera: “Le attese…quelle terribili”

Mi sono ricordato in questi giorni di una conversazione con una mia amica anestesista rianimatrice che esercita in un ospedale del nord da anni. Avevo da poco perso Valeria e la conversazione non poteva che vertere sulla morte o quanto meno sull'attesa di essa. Io ne parlavo ovviamente nel modo in cui la vive il congiunto cioè dall'altra parte di quella “maledetta” porta che è quella della rianimazione. Maledetta perché oltre vi stanno tante vite sospese, maledetta perché non vorresti si aprisse mai fuori dall'orario consueto per le visite perché hai paura di sentire il cognome che non vorresti mai sentire per la paura di...

Davanti quella porta si incrociano tante vite, tutte diverse ma con le quali hai in comune disperazione e la speranza. Con quelle vite in quei momenti leghi ed instauri una liaison che forse prima non si sarebbe mai instaurata. Arrivi a cercare conforto da chi è disperato come te...e lo trovi. I giorni che passi dietro quella porta senza mai staccartene sono interminabili. Ricordo che una notte in quell'ospedale, fuori sotto la finestra della rianimazione ci ritrovammo alcuni di noi a vederne il monitor che per una atroce coincidenza rifletteva e faceva scorrere ad uno ad uno i volti dei nostri cari.

Poi senza parlarci smettemmo ma non per una questione di privacy. Fu solamente perché ciò che facevamo aumentava ancora di più il nostro senso di oppressione e ritornammo dietro quella porta. Dopo una settimana quella maledetta porta si aprì dieci minuti prima dell'orario consueto... chiamarono me... Valeria si era aggravata ancora di più...chiesi di poterla vedere anche da lontano...non fu possibile... mi dissero che fra dieci minuti iniziava l'ora delle visite e...se ce la fa... Poco dopo mi hanno richiamato...

ho solo avuto la possibilità di vedere per l'ultima volta i suoi occhi color del cielo, abbassarle le palpebre ed aggiungere la sua fede matrimoniale alla mia all'indice sinistro. Le “belle morti” quelle dove vedi il paziente attorniato dai suoi cari che chiude gli occhi stringendo una mano le vedi solo sul grande schermo! Durante quella conversazione chiesi alla mia amica, forse stupidamente, perché non concedere ad un congiunto la possibilità di un ultimo bacio e lei mi rispose che ciò non era possibile per tutta una serie di motivi, poiché si trattava di una unità complessa dove le condizioni degli altri pazienti sono generalmente molto gravi e, non conoscendo le reazioni del parente di fronte la morte del congiunto, non potevano correre il rischio di alterare le normali procedure del reparto.

Senza considerare poi che in quei momenti non è escluso che gli operatori cerchino di operare qualche tentativo estremo per allungare ancora di più la vita del loro paziente. Le chiesi allora quale fosse il suo rapporto quotidiano con la morte e come essa incidesse sul suo lavoro. Mi rispose che la morte per un medico è sempre una sconfitta sebbene a volte ineluttabile ma non è una “routine” e ciò obbliga lei ed i suoi colleghi, quando possibile, a staccare e passare ad altro reparto perché a lungo andare questa quotidianità può provocare stress e lo stress dentro quel reparto è un cattivo compagno.

Non poté darmi risposta migliore. Su quei letti non vi stanno corpi ma vite. Esseri umani. Ognuno diverso dall'altro ma comunque sempre atteso da qualcuno fuori da quella porta.   Corrado Sansone

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