Ultime della sera, “La baronessa di Carini: storia di un delitto impunito nella Sicilia dei vicerè”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
10 Novembre 2020 18:04
Ultime della sera, “La baronessa di Carini: storia di un delitto impunito nella Sicilia dei vicerè”

“Nulla si sa, tutto s’immagina” scrisse  Pessoa e il grande Fellini lo affermo’ nel film “La voce della luna”. Questa citazione cade a pennello per la storia della baronessa di Carini e del delitto rimasto impunito e avvolto nel mistero. Nel 1975 la Rai mandò in onda uno sceneggiato a puntate con Ugo Pagliai e Janet Agren (il remake è del 2007 con Luca Argentero e Vittoria Puccini e ha un finale diverso) nel quale i protagonisti, che vivono nella seconda metà dell’ottocento, vengono a conoscenza della storia tragica avvenuta trecento anni prima nel castello abbandonato di Carini.

Essi però ignorano che il loro destino sarà identico a quello dei due amanti dell’antica ballata. Ciò che la ballata narra, ormai da secoli, è la storia di una donna uccisa dal padre per difendere l’onore e la rispettabilità della famiglia. Chianci Palermu, chianci Siracusa,a Carini c’è lu luttu ‘n ogni casa. Attornu a lu casteddu di Carini,ci passa e spassa un beddu cavaleri, lu Vernagallu di sangu gintilica di la gioventù l'unuri teni. Viru viniri na cavalleria, chistu è me patri ca veni ppi mia, tuttu vistutu alla cavallerizza chistu è me patri ca mi veni ammazza.

Signuri patri... chi vinisti a fari...? Signura figghia... vi vegnu ammazzari Lu primu colpu la donna cariu, l'appressu colpu la donna muriu. Un colpu a lu cori, un colpo tra li rini povira barunissa di Carini. Questa versione popolare fu trascritta da studiosi di spicco quali Salamone Marino e G.Pitrè, ma contestata da altri che invece la considerarono inattendibile.  Varvaro cercò infatti di ricostruire la storia vera basandosi sui documenti conservati nell’archivio della Chiesa Madre di Carini, giungendo a conclusioni differenti e sostenendo che non si trattò di un delitto d’onore.

Secondo la sua ipotesi, Laura Lanza di Trabia, baronessa di Carini, venne uccisa a causa di forti interessi economici e non per la relazione che intratteneva con Ludovico Vernagallo. Il padre, Cesare Lanza, era a quanto pare molto indebitato con quest’ultimo e, non potendo estinguere il debito, lo uccise. Infatti alcune lettere scritte dal Vicerè , don Juan de la Cerda, al Re di Spagna, parlano di documenti spariti, riferendosi probabilmente a documenti contabili. Ma perché uccidere anche la figlia? Secondo il Varvaro, l’omicidio della figlia serviva a giustificare il delitto d’onore e quindi a non scontare nessuna  pena.

Il conte di Trabia  avrebbe potuto chiedere il perdono al Re, come fece, e come testimonia la lettera che egli scrisse a Filippo II, ancora conservata negli archivi e  di cui è stata comprovata l’autenticità. Nel 2010 il sindaco di Carini incaricò una squadra di criminologi di fama internazionale per portare avanti delle indagini e trovare elementi che potevano far luce sulla vicenda.  In seguito alle  ricerche comparve l’ipotesi che Laura non era stata sepolta a Carini, ma nella cripta della Chiesa di San Mamiliano a Palermo  e che  in realtà non sia stato il padre ad ucciderla, ma il marito.

Il padre si sarebbe quindi addossato la colpa per difendere il genero appellandosi alle leggi in vigore sulla flagranza dell’adulterio.  Come andarono realmente le cose non lo sapremo mai, anche perché i colpevoli fecero di tutto per cancellare le prove e la memoria di Laura. Laura Lanza  aveva sposato a soli 14 anni il barone Vincenzo La Grua per volere del padre. Il suo vero amore era però un cugino del marito, Ludovico, e i due divennero amanti. Non si sa se la loro relazione fosse conosciuta da tempo, come afferma Varvaro o scoperta il giorno del delitto.

Di fatto sembra improbabile che il padre, avvisato dal barone, fosse arrivato in tempo per trovare i due amanti e ucciderli, visto che da Palermo a Carini c’erano circa sei ore di viaggio. La certezza è che Laura e Ludovico morirono entrambi il  4 dicembre 1563 ,come attestano i certificati di morte depositati nella Chiesa madre di Carini . Dopo la loro morte, don Cesare Lanza scrisse la lettera al re di Spagna, giustificando il suo gesto e il re lo perdonò. Vincenzo La Grua  dopo la morte della moglie fece rinnovare tutte le stanze del castello e fece scrivere sulla porta della camera della baronessa “Omnia nova sunt” .

Poi nel 1564 si sposò  con Ninfa Ruiz. Per loro la faccenda si concluse lì, ma nel popolo si diffuse la notizia della morte della baronessa malgrado le cronache ufficiali avessero taciuto e ben presto la storia si trasformò nel poemetto giunto fino a noi. Per chi vuole ascoltarla, c’è una  leggenda che narra di  una bellissima fanciulla che si aggira ancora nelle stanze del castello chiedendo giustizia  e di  un’ impronta insanguinata che anno dopo anno, ogni 4 dicembre  , diventa  particolarmente visibile nella parete della camera in cui si consumò l’efferato delitto.

Josepha BILLARDELLO

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