Ultime della sera: “In lumine vitae” e quella luce nell’arte di Bonagiuso”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
08 Gennaio 2021 20:02

di Catia CATANIA “Questo è un tempo che taglia, in quella ferita è tutta la vita che spera”. Finisce cosi, con la voce roca e potente del suo autore, “021 In lumine vitae”, l'ultimo cortometraggio di Giacomo Bonagiuso, arrivato inaspettato come un regalo di Capodanno. E non è certamente casuale la scelta della data della sua pubblicazione, il 31 dicembre di una anno infido e funesto, il 2020, che ci traghetta verso “l'anno che verrà”, questo 2021 così carico di aspettative e responsabilità come forse nessun anno prima d'ora.

Il corto, visionabile online, è già un successo, con migliaia di visualizzazioni e condivisioni, in un tempo in cui l'arte, impietosamente bandita dai suoi luoghi sacri, è per tutti ormai a portata di un click. Bonagiuso, regista teatrale colto e poliedrico, filosofo, scrittore, educatore, voce autorevole in un territorio difficile, dove fare cultura, e soprattutto teatro, è impresa titanica e coraggiosa, non si tira indietro, non fugge dalle responsabilità, non si piega, non si arrende, e anche in questi tempi bui non ci nega il suo contributo e ci fa dono della sua arte introspettiva e simbolica superando lo spazio, il tempo, la barriera virtuale.

Perché l'arte, nonostante abbiano deciso che sia la dimensione più sacrificabile in questo tempo di pandemia, non si arrende, continua a vivere di vita e luce propria,  rimescola le carte e riparte. E Giacomo Bonagiuso, intellettuale talentuoso e illuminato, costruttore di bellezza e procacciatore di talenti, lavoratore instancabile e lungimirante, pieno di fiducia nei giovani e nel domani, lo fa con gli strumenti che conosce, a lui congeniali. Il corto è un lavoro breve e intenso, forte e drammatico, di grande impatto emotivo.

I protagonisti sono i ragazzi del suo laboratorio teatrale che negli anni hanno lavorato con lui. Il teatro va in strada, nelle piazze, diventa vita e la vita diventa teatro, senza più una linea di separazione, con quello “strepitio di passi lenti che stuzzicano il legno come a voler tracciare strade, promuovere le strade...” (cit.) Le immagini sono lo specchio cruento di una realtà che prende forma sotto i nostri occhi, in cui tutti ci riconosciamo. Ci riconosciamo nel dolore, nella fatica, nei passi che abbiamo mosso, a volte leggeri altri con fatica, nelle strade che abbiamo attraversato in questo tempo difficile, sofferto, dove ognuno di noi ha perso qualcosa, qualcuno, un frammento di sé.

Abbiamo perso il nostro sguardo a colori sul mondo, che è diventato grigio, laconico, in bianco e nero. I personaggi del filmato sono uno spaccato della società: c'è il vecchio, il bambino, il giovane, la ragazza, quasi tutti indistinguibili dentro gli abiti neri, neri come una voragine che stordisce, un buco nero che inghiotte. Si muovono con lentezza dentro città spettrali, deserte, silenziose, come fantasmi che danzano al suono di una musica che sentono solamente loro. Il paesaggio è riconoscibile ma trasfigurato, c'è la grande città col suo Duomo, la piccola cittadina di mare col suo monumento al pescatore, ci sono i tetti delle case, il mare, la campagna, le inquietudini esistenziali che ogni fotogramma ci restituisce, “tra l'inganno dell'acqua e il battere delle balate di marmo”...

Sembra una corea quella che mimano i personaggi, quel movimento involontario che pare una danza e invece è una malattia, un ballo incontrollabile dove i movimenti sono casuali, incontrollati e grotteschi. Questi movimenti disarticolati sottolineano il nostro bisogno innato di essere visti, riconosciuti, ascoltati. Una danza che che con il suo richiamo all'introspezione ci ispira rigenerazione, attraversamento del buio, rinascita. Movimenti che si aggrappano alla vita, che in un crescendo di intensità il narratore svela: “ Questa vita che s'annaca e ti viene di afferrarla malamente alla gola…”.

E ancora: “Mani aguzze e tenere che aderire vogliono alla vita, appartenerne ogni anfratto...” Si insegue la luce, si cerca di ritrovare energia, lucidità e fiducia per superare l'incertezza di questo tempo che ci ha costretti a fermaci. Gli spasmi del corpo sono sgraziati ma qui ritrovano grazia e armonia, riprendono il controllo, si aprono alla guarigione e alla speranza. Ed è a questa speranza che ci conduce la voce narrante, da uomo di teatro, dello stesso Bonagiuso. Perché è nei momenti difficili, quando lo scoramento e la disperazione sembrano prevalere e sovrastare tutto, che riemerge testarda la speranza, e la fiducia nel futuro torna a far capolino, come  quando abbiamo ancora dentro il buio dell'inverno ma fuori riesplode, testarda, la primavera, con le sue promesse: “ Ridevi come la primavera se ne fotte dell'inverno, e fiorisce in lumine vitae”.

Perché nonostante il buio, il lutto, la malattia, nonostante tutto a volte sembri finito, non la fermi la Vita.

  La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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