Ultime della sera: “In Ancona“

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
17 Dicembre 2020 19:44
Ultime della sera: “In Ancona“

 di Danilo MARINO     Ad Ancona non si vive né ci si reca. Si vive, o ci si reca, ‘in’ Ancona. Così come in qualunque altra località delle Marche, o dell’Umbria.

Forse questo particolare linguistico, peraltro correttissimo, aiuta a dare un’idea del tessuto sociale ed urbano del centro Italia, un territorio in gran parte collinare, i cui abitati o ne presidiano le cime, o si nascondono in oscure vallate; ciò, probabilmente, ha fatto maturare, in una popolazione molto discreta, economa, laboriosa e civilissima, una certa diffidenza verso chiunque salga verso un paese arroccato o scenda nella valle a presentarsi alle porte di una città (porte quasi dappertutto ancora in opera, spesso con le relative mura), essendo a valle che si trovano gli insediamenti più importanti: Ascoli, San Benedetto, Pesaro, Fano, Iesi, Senigallia, restando in quota solo Macerata, Fermo ed Urbino.

Ma Ancona si trova sul mare, obietterete voi; è vero, ma, il suo centro storico è arroccato sulle pendici del colle Guasco, mentre la città si è espansa solo grazie ad una costellazione di quartieri-satellite, del tutto autonomi e separati fra di loro. In definitiva, la vera Ancona rimane un piccolo centro di 20.000 abitanti scarsi. Ankon in greco significa ‘gomito’. In quel preciso punto, infatti, il litorale adriatico, generalmente rettilineo ed uniforme, piega a formare un’insenatura protetta da quasi 3 quadranti, motivo per cui i coloni siracusani (sissignore!) ne fecero uno scalo destinato a rimanere il porto più importante su litorale adriatico italiano.

In quel porto, tanto distante e diverso, da quelli che siamo abituati a frequentare noi, aleggia tanta di quella Mazara da suscitarti sensazioni, pensieri e riflessioni difficili, se non impossibili, da cogliere, nella nostra città. Esiste ancora, per esempio, la facciata d’ingresso ai famosi Cantieri Navali Morini, da dove uscirono alcuni dei più grandi, robusti ed invidiati pescherecci d’altura della nostra flotta; beninteso, i nostri cantieri non erano affatto da meno, ma avevano il grosso difetto da sorgere di fronte proprio davanti piazza Regina, ragione per la quale, appena s’impostava una chiglia, tutta la marineria se ne accorgeva immediatamente, cominciando a spettegolare sull’armatore che aveva deciso di ‘allargarsi’, o di rinnovare la flotta; molto meglio presentarsi a Mazara con il prodotto bell’è finito, riducendo drasticamente chiacchiere e voci.

Ma quando ci passai io, i cantieri anconetani già erano stati assorbiti da un’azienda più grande, per essere adibiti alla realizzazione di grandi e magnifiche navi da diporto per oligarchi russi e non solo; ma mentre in Ancona si costruiva a Mazara, si demoliva a ripetizione, togliendo sostentamento ad almeno 10 famiglie per ogni peschereccio ‘sottratto allo sforzo di pesca’ secondo la burocratica espressione comunitaria, in cambio di una cifra, sì consistente, per l’armatore, ma non abbastanza da assicurare lo stesso reddito che garantiva un’unità da pesca.

Né le 2 guerre mondiali, né la pandemia in corso, a mio parere, hanno compromesso l’economia cittadina quanto la campagna di demolizione dei pescherecci avviata negli anni ’90 per ridurre la pressione esercitata sugli ‘stock demersali’ del Mediterraneo, con vantaggio per l’Europa intera, ma a danno di una sola città che, secondo me, non ha saputo rappresentare la situazione nei giusti termini, accontentandosi di mance individuali quando, forse, avrebbe potuto chiedere interventi strutturali riferiti alla comunità cittadina nel suo complesso.

Tutto questo mi fu, improvvisamente, chiaro, proprio in Ancona, mentre passeggiavo nel porto peschereccio, tra la sede del C.N.R. (lo hanno pure loro) e quello della Fiere della Pesca (che noi invece non abbiamo mai avuto, e qui già ci sarebbe da dire). Parcheggiate, in ordinata fila, stavano alcune ‘lape’, come le chiamano a Palermo, adibite alla vendita di pesce al dettaglio, tutte dotate di impianto refrigerante e vetrine chiuse per l’esposizione del prodotto. Insomma, ambulanti in perfetta regola, tutti tunisini.

Uno di questi, secondo il modo di fare degli ambulanti, mi fermò, ma con queste parole: “tu mazarisi”? Sobbalzai. Evidentemente mi aveva sentito parlare. Ovviamente mi fermai a conversare, anche se continuò a parlare solo lui: “io aiu statu a Mazara..travagghiava ddà..ma ora un ccì nne cchiù travagghiu e binni ccà…e semu assà..però me zia arristà ddà…bedda Mazara”. Appresi così, in Ancona, che Mazara non era più terra promessa nemmeno per i nostri dirimpettai: e non mancò molto perché mi imbattessi in altri concittadini; ma prima una piccola digressione.

In questi giorni sta riscuotendo successo una serie TV, “L’isola delle rose”, ambientata su una piattaforma installata al largo della costa adriatica, fuori dalle acque territoriali, dove un buontempone romagnolo pretese di fondare, nel 1968, uno Stato autonomo dove poter praticare sesso e poker libero. E’ una storia vera, anche se quella piattaforma, naturalmente, durò poco. Ma ne rimasero tantissime altre, una vera foresta, dentro e fuori le acque territoriale, tutte, più prosaicamente, di proprietà di società petrolifere intente a ricercare gas naturali sotto il fondo di quel mare.

Sono strutture ai cui bisogni sopperisce una flotta di rimorchiatori di altura basata nei porti di Ravenna ed Ancona: ebbene, oggi sono tantissimi i mazaresi, reduci dai nostri pescherecci demoliti, imbarcati su questi supply vessel, simili ai nostri pescherecci d’altura per dimensioni, ma non per attività, che per i nostri, non certo abituati a rientrare in porto quasi ogni sera, è quasi una pacchia, pur trattandosi sempre di duro lavoro marittimo: ed infatti qui i mazaresi hanno fama di grandi lavoratori, che non badano al tempo, né cronologico né meteorologico.

“gli basta solo avere in tasca il biglietto per l’ aereo che, prima o poi, li riporterà a Mazara” - dice chi li conosce bene – per vederli lavorare sodo”. Quella di Ancona non fu la mia prima esperienza professionale in Adriatico, avevo già avuto modo di comprendere che il nostro Paese non si divide solo tra nord e sud, ma anche tra versante tirrenico, che poi sarebbe il nostro, di noi siciliani ( perché anche il nostro specchio di mar Ionio sbocca in Tirreno attraverso lo stretto di Messina ), ed adriatico, che costituisce tutta un’altra realtà.

Ma una realtà con incredibili e numerosi riferimenti a casa, come accennavo, in grado di fornire insospettabili chiavi di lettura per comprendere situazioni a noi familiari, a riprova del fatto che spesso basta mutare adeguatamente una prospettiva, anche fisica, per comprendere adeguatamente un fenomeno. Nel nostro caso, il legame fondamentale tra la nostra città ed il mare, ben al di là del tradizionale comparto ittico che ha caratterizzato, a ben vedere, solo una parentesi ben definita di quest’ultimo secolo.

E se ad un mazarese è capitato di vestire la maglia della squadra di calcio dell’Ancona, quando Ancona aveva ancora una squadra di calcio che si rispetti, reduce, addirittura, dalla disputa di una finale di Coppa Italia, vuol dire che forse non è stato solo un capriccio del destino.   La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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