Ultime della sera. HO INCONTRATO CRISTO IN CARCERE

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
10 Aprile 2020 20:21
Ultime della sera. HO INCONTRATO CRISTO IN CARCERE

Ho esitato fino al tardo pomeriggio di oggi per scrivere questo articolo, perché guardando questo foglio bianco, come d’altronde mi capita sempre, provo un sentimento molto profondo. Guardando un foglio bianco da riempire di parole, provo un sentimento di paura indefinito ma anche di forte responsabilità; convinto come sono che le parole, quelle vere, abbiano ancora qualcosa da dire, specialmente in questo tempo, e specialmente oggi che è venerdì Santo. Allora con l’aiuto della musica di Bach mi appresto a scrivere qualche pensiero, sperando che non siano solo pensieri banali,  che possano aiutare a consolarmi e magari a consolare a qualcun’altro che li leggerà.

Oggi tutti i credenti ma anche tanti non credenti ricorderanno la morte del Signore, e c’è lo ricorderà stasera Papa Francesco con il rito della Via Crucis, che non sarà come ogni anno all’interno del Colosseo animata da tanti uomini, ma sarà celebrata sul sagrato della basilica vaticana, senza la presenza fisica dei fedeli, da un uomo solo. Le meditazioni quest’anno sono proposte da un cappellano di un carcere di Padova, che raccogliendo l’invito di Papa Francesco, ha invitato quattordici persone a meditare sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo rendendola attuale nelle loro esistenze.

Sono cinque persone detenute, una famiglia vittima per un reato di omicidio, la figlia di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo, un’educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, la madre di una persona detenuta, una catechista, un frate volontario, un agente di Polizia Penitenziaria e un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario. La loro voce stasera accompagnerà Cristo sulla Via della Croce, sarà la voce probabilmente rotta dall’emozione, la voce di chi abita il mondo delle carceri, la voce di chi ci ricorderà la Vita e la Morte, e di come inevitabilmente s’intrecciano i fili del bene con i fili del male.

Sarà come contemplare il Calvario da dietro le sbarre è credere che un’intera vita si possa giocare in pochi attimi, com’è accaduto al buon ladrone. Basterà riempire quegli attimi di verità: il pentimento per la colpa commessa, la convinzione che la morte non è per sempre, la certezza che Cristo è l’innocente ingiustamente deriso. Si perché «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37) ed allora tutto è possibile, anche che dal buio delle carceri ci sia una luce piena di speranza, dove l’uomo che è stato capace del crimine più orrendo potrà essere il protagonista della risurrezione più inattesa.

È così che la Via Crucis diventa una Via Lucis. Non sapremo i nomi di quelle persone che hanno scritto queste meditazioni, ma stasera, nel silenzio delle prigioni, riconosceremo una voce  che desidera diventare la voce di tutti. Vi riporto la meditazione della prima e dell’ultima stazione che sarà l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega della mia personale Via Crucis come credo e spero lo sia anche per voi. I stazione Gesù è condannato a morte Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù.

Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere (Lc 23,20-25).

Tante volte, nei tribunali e nei giornali, rimbomba quel grido: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». È un grido che ho sentito anche su di me: sono stato condannato, assieme a mio padre, alla pena dell’ergastolo. La mia crocifissione è iniziata quando ero bambino: se ci penso mi rivedo rannicchiato sul pulmino che mi portava a scuola, emarginato per la mia balbuzie, senza nessuna relazione. Ho iniziato a lavorare quando ero piccolo, senza poter studiare: l’ignoranza ha avuto la meglio sulla mia ingenuità.

Il bullismo, poi, ha rubato sprazzi d’infanzia a quel bambino nato nella Calabria degli anni Settanta. Somiglio più a Barabba che a Cristo, eppure la condanna più feroce rimane quella della mia coscienza: di notte apro gli occhi e cerco disperatamente una luce che illumini la mia storia. Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto: dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto.

Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in un’unica persona. Il passato è qualcosa di cui provo ribrezzo, pur sapendo che è la mia storia. Ho vissuto anni sottoposto al regime restrittivo del 41-bis e mio padre è morto ristretto nella stessa condizione. Tante volte, di notte, l’ho sentito piangere in cella. Lo faceva di nascosto ma io me ne accorgevo. Eravamo entrambi nel buio profondo. In quella non-vita, però, ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita: è strano a dirsi, ma il carcere è stato la mia salvezza.

Se per qualcuno sono ancora Barabba, non mi arrabbio: avverto, nel cuore, che quell’Uomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita. Signore Gesù, nonostante le forti grida che ci distolgono, ti scorgiamo tra la folla di quanti urlano che devi essere crocifisso; e forse tra loro ci siamo anche noi, inconsapevoli del male di cui possiamo essere capaci. Dalle nostre celle vogliamo pregare il Padre tuo per coloro che come Te sono condannati a morte e per quanti ancora vogliono sostituirsi al tuo supremo giudizio.

Preghiamo. O Dio, amante della vita, che nella riconciliazione ci doni sempre una nuova opportunità per gustare la tua infinita misericordia, ti supplichiamo di infondere in noi il dono della sapienza per considerare ogni uomo e ogni donna come tempio del tuo Spirito e rispettarli nella loro inviolabile dignità. Per Cristo nostro Signore. Amen. XIV stazione Gesù è sepolto Era il giorno della Parasceve e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati.

Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto (Lc 23,54-56). Nella mia missione di agente di Polizia Penitenziaria, ogni giorno tocco con mano la sofferenza di chi vive recluso. Non è facile confrontarsi con chi è stato vinto dal male e ha inferto ferite enormi ad altri uomini, complicando le loro esistenze. Eppure, in carcere, l’indifferenza crea ulteriori danni nella storia di chi ha fallito e sta pagando il proprio conto alla giustizia. Un collega, che mi è stato maestro, ripeteva spesso: “Il carcere ti trasforma: un uomo buono può diventare un uomo sadico.

Un malvagio potrebbe diventare migliore”. Il risultato dipende anche da me e stringere i denti è essenziale per raggiungere l’obiettivo del nostro lavoro: dare un’altra possibilità a chi ha favorito il male. Per tentare questo, non posso limitarmi ad aprire e chiudere una cella, senza farlo con un pizzico di umanità. Rispettando i tempi di ciascuno, le relazioni umane possono rifiorire piano piano anche dentro questo mondo pesante. Si traducono in gesti, attenzioni e parole capaci di fare la differenza, anche se pronunciate a bassa voce.

Non mi vergogno di esercitare il diaconato permanente vestendo la divisa della quale vado orgoglioso. Conosco la sofferenza e la disperazione: le ho provate da bambino su di me. Il mio piccolo desidero è essere un punto di riferimento per chi incontro tra le sbarre. Ce la metto tutta per difendere la speranza di gente rassegnata a se stessa, spaventata al pensiero di quando un giorno uscirà e rischierà di essere rifiutata ancora una volta dalla società. In carcere ricordo loro che, con Dio, nessun peccato avrà mai l’ultima parola.

Signore Gesù, ancora una volta sei consegnato alle mani dell’uomo, questa volta però, ad accoglierti sono le mani amorevoli di Giuseppe d’Arimatea e di alcune pie donne venute dalla Galilea, che sanno che il tuo corpo è prezioso. Queste mani rappresentano le mani di tutti coloro che non si stancano mai di servirti e che rendono visibile quell’amore di cui l’uomo è capace. è proprio questo amore che ci fa sperare nella possibilità di un mondo migliore: basta soltanto che l’uomo sia disposto a lasciarsi raggiungere dalla grazia che viene da Te.

Nella preghiera, affidiamo al Padre tuo, in modo particolare, tutti gli agenti della Polizia Penitenziaria e quanti collaborano a diverso titolo nelle carceri. Preghiamo. O Dio, eterna luce e giorno senza tramonto, ricolma dei tuoi beni coloro che si dedicano alla tua lode e al servizio di chi soffre, negli innumerevoli luoghi di dolore dell’umanità. Per Cristo nostro Signore. Amen. Francesco Sciacchitano

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