Ultime della sera: “Delenda Carthago”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
24 Febbraio 2021 18:19
Ultime della sera: “Delenda Carthago”

di Paolo ASARO “nei circhi e negli stadi si ammassano turbe stravolte, a celebrare riti di sangue” Mi è capitato, qualche volta (credo un paio in tutto) di vedere una partita di pallone in uno stadio, più spesso, ho assistito a qualche partita trasmessa in tv. I primi ricordi risalgono all’infanzia, quando andavamo a casa di amici o parenti. In una nube di fumo, si intravedeva il televisore, che trasmetteva in diretta, in bianco e nero, una partita della nazionale italiana. Ricordo ancora lo sguardo, fisso sul video, degli adulti presenti, con l’espressione del viso che mutava a secondo dello svolgimento delle azioni.

Più tardi iniziai a seguire anch’io qualche partita, soprattutto durante i mondiali, perché in fondo, vi è un’atmosfera particolare: i negozi chiudono prima, le strade si svuotano, in giro non si parla d’altro. Persino le manifestazioni sacre e popolari, feste comandate, riti religiosi, messe, processioni, funerali, battesimi, compleanni e anniversari, terminano in tempo utile, se quella sera gioca la nazionale. C’è un’euforia collettiva che è difficile da decifrare, ci si gode il momento e basta.

Mi è anche capitato di vedere trasmissioni televisive che parlano di calcio, e questo ha iniziato ad insinuare in me qualche dubbio. Vedere una partita, va bene. Seguire un torneo che ha una durata limitata e per di più non tutti gli anni, va bene, lo capisco e lo trovo anche gradevole. Ma le trasmissioni televisive, gli articoli sui giornali, le polemiche nei bar e in altri luoghi di ritrovo, mi hanno sempre lasciato perplesso. Qualcosa di immaturo, di infantile, si celava ai miei occhi dietro tutte quelle chiacchiere, sfottò e polemiche.

Ben presto mi resi conto che i cosiddetti “giornalisti” fomentano o addirittura creano le polemiche, al solo scopo di aumentare l’audience delle loro trasmissioni o di vendere qualche copia di giornale in più (almeno quando esisteva ancora la carta stampata). La pubblicità, primo azionista di ogni cosa, che paga a peso d’oro giornalisti e conduttori televisivi, esige un pubblico sempre più numeroso e adatto allo spot. Talvolta mi chiedo se questi burattini, sognavano da bambini di diventare grandi giornalisti, firme autorevoli, cronisti stimati e invece ora si trovano ad urlare e far finta di litigare perché glielo impone il venditore di pannolini di turno.

“quante stupide galline che si azzuffano per niente” Ma il mio sdegno verso il mondo della comunicazione era destinato a non rimanere solo. Ben presto venne a fargli compagnia un pensiero ancora più profondo e inquietante. Sin da quando feci conoscenza del fenomeno hooligans, m’interrogai su cosa potesse mai spingere simili folle, enormi come fiumi in piena, ad ubriacarsi oltre ogni possibilità umana e a picchiare a destra e a manca qualunque cosa gli capitasse a tiro, a passare una notte in cella per poi tornare alla tranquilla vita di tutti i giorni.

Ovviamente, c’è chi ha studiato e vivisezionato il fenomeno in ogni sua parte. Negli anni ottanta/novanta, la violenza negli stadi era l’argomento di molte rubriche di approfondimento, saggi letterari, film e quant’altro. Ed è altrettanto  ovvio che tale fenomeno non riguarda chiunque. Coloro che si abbandonano ad atti vandalici e di violenza fisica sono una piccola minoranza ma coloro che rimangono “rapiti” dal pallone (con conseguente spirito di appartenenza, polemiche, sfottò, insulti ecc.) sono tanti, sono la maggioranza.

Ogni tanto ci scappa anche il morto ma, dietro lo sdegno collettivo del momento, questi “sporadici episodi” vengono riassorbiti, come si assorbe un incidente stradale, un delitto di mafia, un attentato terroristico. Durante il periodo di chiusura totale di quasi un anno fa, ascoltando le notizie alla radio sulla diffusione dei contagi, sui decessi, i ricoverati in terapia intensiva ecc. trovavo surreale e agghiacciante che il più grande dilemma del governo fosse la gestione del campionato di calcio.

Una patata bollente che rischiava di ustionare le mani dell’esecutivo: “campionato si, o campionato no?” In effetti, non ero sorpreso affatto. Già dai tempi dell’Antica Roma, gli spettacoli di lotta tra animali, individui o squadre, costituiva una valvola di sfogo fondamentale per la gestione delle masse. Lo spettacolo-gara, finisce fatalmente per dividere gli spettatori che prenderanno le parti di uno o dell’altro concorrente, immedesimandosi nella competizione al punto di credere di essere essi stessi i combattenti.

Meglio ancora se lo spettacolo è cruento. Vedere versare del sangue placa la sete di aggressività animalesca, ancora innata in molti esseri viventi, per la difesa del territorio. Nell’età antica, gli uomini combattevano davvero per difendere il proprio territorio, combattevano per la sopravvivenza. Nell’età moderna, gli uomini della Civitas, non hanno più modo (civile appunto) di placare i loro istinti violenti. Le guerre moderne, sono combattute per obbligo o per lavoro ma non assolvono alla funzione istintiva della supremazia per la sopravvivenza.

Semmai, l’automutilazione o la diserzione assolvono a tale scopo. Questi istinti violenti devono essere convogliati in un luogo dove i presenti possano vivere una vera e propria battaglia o sarà la catastrofe. Lo spirito di appartenenza ad un gruppo che deve prevalere sull’altro, (si pensi al Palio di Siena e la rivalità fra le contrade) deve essere garantito. E chi governa conosce molto bene queste leggi di natura, per carità, non per saggezza, ma semplicemente perché è sempre stato così, dal Colosseo in poi, si sa e basta.

Bisogna spendere dei soldi, bisogna investire, costruire degli stadi, dei luoghi dove le folle possano riunirsi e mettere in scena la loro battaglia domenicale, dove possano dare libero sfogo al rancore provocato dalle loro frustrazioni: il lavoro che manca, i soldi che non bastano mai, l’affitto che non si riesce a pagare, lo stato che non funziona, i problemi familiari ecc.  Hanno bisogno dell’illusione di essere vincitori di qualcosa ogni tanto: se vinci, l’adrenalina ti basta per tutta la settimana, se perdi, bè, puoi sempre avere la possibilità di rifarti la prossima volta.

Ecco perché il campionato di calcio diventa priorità assoluta in un momento di pandemia. Durante un lockdown totale, è l’unico modo per poter tenere sotto controllo lo sfogo di masse di giovanotti irrequieti, privi di autocontrollo che, oltre ai problemi quotidiani, devono subire anche una limitazione, sia pur giustificata,  della libertà individuale. Dando un’occhiata ai social, molti post contengono commenti pallonari, “anche questo è un modo per distrarsi”.   La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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