Ultime della sera: Che c’è di male?

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
12 Settembre 2020 19:18
Ultime della sera: Che c’è di male?

Sara mi guarda con occhi di sfida. Le braccia incrociate sul petto, il broncio di circostanza, le gambe larghe nei pantaloni strappati, scivolata sulla sedia. I ricci biondi, diventano viola sulle punte  e scivolano sulla fronte corrugata. “Sai perché sei qui?” “Picchì ci su l’infami”. Sara è arrivata da me, perché, appena quattordicenne,  in un pomeriggio dello scorso inverno, con una scusa ha invitato ad uscire una fra le più timide delle sue compagne di classe, e con l’aiuto di altre due “amiche”, l’ha trascinata in un vicolo e, “ per scherzo”, le ha scritto il giubbino, le ha attaccato delle gomme da masticare fra i capelli, l’ha insultata e strattonata fino a farla cadere a terra e tagliarle un paio di ciocche di capelli.

Una del gruppo ha filmato e messo in rete. E così sono state individuate. “ Che esagerazione! Era uno scherzo…che c’è di male?”. Già, che c’è di male? “Guardi che le ho fatto lo scontrino  di due euro, va bene lo stesso? “ Certo, che c’è di male? E tutte le volte che… “e vabbè, questa cosa la faccio dopo e poi,  chi se ne accorge se  questi soldi me li prendo io… e  ancora, posso cambiare questa data di scadenza e vendere lo stesso questo prodotto e poi…lascialo qui questo cartone di pizza o buttiamoli qui questi scarti tossici… e che sarà mai se mi diverto un poco con un’altra donna o con un altro uomo, che c’è di male…”, o ancora, tutte le volte che è una piccola bugia innocente, o una aggiustatina ad un bilancio, o un innocuo pettegolezzo… fino a “in fondo era solo un immigrato”… ecco in tutti questi e in moltissimi altri casi, che c’è di male? Guardo Sara e le chiedo “che c’è di bene?”.

In quello che hai fatto, cosa c’è di bene per te, per la tua compagna, per le tue amiche? Mi guarda, gli occhi sgranati. “ Non ti capisco” mi dice. Già, piccola Sara, è difficile capire. Perché nessuno ce lo insegna più, cosa ci sia di male e cosa ci sia di bene in quello che facciamo, che pensiamo e che omettiamo di fare. Nessuno di noi si assume le responsabilità di dire che, nella fitta foresta delle verità relative, comunque esiste il bene ed  esiste il male. Lo dico a me, prima ancora che ai miei pazienti, ai miei cari, ai miei figli: se provassi a chiedere a me stessa cosa c’è di bene in quello che faccio, molto del male, che sottovalutandolo, faccio, non lo farei.

In questo tempo folle e confuso, ci vuole coraggio a dire cosa è bene e cosa è male, ci vuole coraggio ad assumersi la responsabilità della scelta, a non sottrarsi alla testimonianza. In un campo sportivo di provincia, oggi si è celebrato il funerale di un giovane, massacrato da altri giovani. Un dolore immenso va in scena in un rito di catarsi collettiva. Commozione, paura, disincanto… Lo sdegno, l’orrore, l’amarezza, non bastano più. Gli esperti sfilano e raccontano i perché  e i per come,  e poi i bisognerebbe, ci vorrebbe, si potrebbe… Giustizia subito e in modo esemplare, lo stato c’è, la comunità si stringe intorno ( quante volte le comunità si sono strette intorno alle vittime, quante volte i ceri delle fiaccolate sono diventati solo cera che si è sciolta… ).

Qui non c’entrano i tatuaggi, il colore della pelle, i like sui social… qui, semplicemente e drammaticamente, c’entra l’incapacità di discernere cosa è bene e cosa è male. E questo, si impara fin da bambini e solo a condizione che qualcuno lo insegni, assumendosi non solo la responsabilità di scegliere con cura le parole, ma l’onere della testimonianza. E fin da bambini si impara a mettersi al posto dell’altro, a sentire ciò che l’altro sente, a comprendere  ( a prendere con sé ) l’altrui stato d’animo, l’altrui dolore e l’altrui gioia.

Che c’è di male? E che c’è di bene? Nell’indossare magliette bianche e nel fare volare palloncini al cielo, nello stare in fila in cortei e fiaccolate, nel proclamare il proprio dolore, nel prendere le distanze, nel dissociarsi… che c’è di bene se poi si torna mesti elle proprie case e si torna ad essere indulgenti con se stessi, con i propri figli e a proclamare che, in fondo, che c’è di male? Sara è ancora seduta di fronte a me. Il Tribunale per i Minori, vuole che io ne valuti la consapevolezza, la capacità di giudizio e critica.

Le ripeto la domanda “Sara, che c’è di bene in quello che hai fatto?”.  Mentre si tormenta lo smalto sbeccato sulle unghie rosicchiate, mi dice “ spiegamelo tu, che io non ti capisco”. La guardo con i soli occhi che ho, stanchi e non ancora arresi , malgrado tutto. Le prendo la mano, proverò ad essere sua scomoda compagna di viaggio nella sua piccola e tremula coscienza, ripercorrerò con lei la strada che l’ha condotta a quel “che c’è di male” e lascerò che si sdrai a terra  e provi a mettersi al posto della ragazzina che con tanto disprezzo ha aggredito,  e che senta su di sé anche una soltanto delle sofferenze che le ha causato… non per giudicarla o per  punirla ( altri ci penseranno se e come lo riterranno opportuno ), ma per esserci quando il suo sguardo riuscirà a vedere ciò che ancora non vede.

Che c’è di bene nello scrivere queste parole messe in fila malamente? Non lo so, ma mi piace credere che a ciascuno di noi spetti di offrire un seme al vento, perché possa germogliare un fiore di speranza.   Maria Lisma

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