Ultime della sera: “15 gennaio 1968”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
15 Gennaio 2021 19:31
Ultime della sera: “15 gennaio 1968”

di Antonio CARCERANO È difficile spiegare cosa si prova quando la terra comincia a tremarti sotto i piedi. Odi Gemiti. Senti urla. Dolore e strazio indescrivibile. Preghiere, invocazioni. Imprecazioni, rabbia. Esistono delle date che restano incise indelebilmente nella memoria. Il 15 Gennaio 1968 è una di quelle che ha sconvolto e mutato radicalmente la mia vita. Solo a ricordarlo, rabbrividisco ancora. Cade oggi l’indimenticabile anniversario che strappò la vita a 410 persone in tutta la Valle del Belice, che rase al suolo il mio paese Santa Ninfa e con esso edifici e speranze.

L’intreccio tra cronaca e ricordi personali è inceppato nella mia mente su quel boato. Forte come il verso di un animale sconosciuto che ferito mortalmente sembrava provenire dal cielo o dal centro della terra. La scossa. La corsa per uscire fuori. Padri eroici pronti a prendere tra le traccia i propri bimbi e a mettere al riparo i più piccoli. Unghie per scavare. Il buio, che prende il sopravvento e con esso la paura. Grida. Terrore. Paura di non rivedere il nuovo giorno.

Il ricordo di morti viventi che vagano al buio cercando riparo sicuro da quella tragedia. Li vedo ancora, quelle persone attonite e smarrite che si danno una mano. Scavano, scavano vorticosamente nel tentativo disperato di cogliere anche un piccolo anelito di vita. Mai potranno essere dimenticati quei terribili momenti . Non solo per i lutti e le rovine, ma anche per i gemiti raccapriccianti che nei giorni successivi continuavano a udirsi provenire dalle macerie a causa dei ritardi nei soccorsi.

A molti rimasti senza nulla oltre la polvere appiccicata addosso dissero per consolarli, di ritenersi comunque fortunati, poiché non erano morti sotto le macerie. Una notte che non ho mai più dimenticato e che a tante altre la cambiò drammaticamente e per sempre. Molti, non riuscimmo più a dormire per giorni, per settimane. Non mi vergogno ad dirlo, ma io per mesi e mesi dopo, continuai a farmi la pipì addosso nel letto durante la notte. 30 interminabili ore di terrore che invece in un baleno cancellò vite ed interi paesi.

Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio, alle ore 2:33 una scossa molto violenta causò gravissimi danni. La scossa più forte, quella ferale dell’intera sequenza avvenne poco dopo, alle ore 3:01, ed ebbe effetti disastrosi. La scossa principale del 15 gennaio 1968 fu avvertita in quasi tutta la Sicilia, fino a Catania e Messina. Il Belice cancellato e i pochi muri che superstiti erano rimasti in piedi, crollarono completamente in seguito alla fortissima replica del 25 gennaio. Seguita in seguito da una lunga serie di repliche, alcune delle quali molto forti, che si protrassero sino al febbraio del 1969.

Meno male che prima della scossa ferale vi erano state 3 scosse per così dire anticipatrici, nella giornata del 14 gennaio che avevano fatto diversi danni, ma soprattutto messo in allarme tutta la popolazione. È proprio nel cuore di quella notte, il 15 gennaio 1968, che una scossa violentissima colpisce e squassa tutta la Valle del Belice, 410 persone (tra cui 10 soccorritori) persero la vita, oltre 600 restano ferite, oltre 100.000 senzatetto e gli sfollati furono quasi 12.000. La popolazione abbandonò le abitazioni rifugiandosi nei luoghi aperti e pernottando all’addiaccio o nelle automobili.

Per tutta la giornata seguente alla scossa principale la popolazione non ricevette alcun soccorso organizzato; molte persone fuggite dai paesi, vagarono per ore senza meta nelle campagne circostanti. Per parecchi giorni molte famiglie rifugiatesi in piena campagna, nei pressi delle case coloniche e lontano dai centri abitati non ricevettero aiuti. La solidarietà che si sprigiona dal cuore dell’uomo nei momenti del bisogno è più forte di ogni tragedia. Pochi volontari così, in quelle prime ore giunsero nei paesi colpiti, costretti a fare ore di marcia a piedi.

Le prime autocolonne di soccorsi partite da Agrigento e da Sciacca furono ostacolate dalle interruzioni di alcune strade causate da frane e crolli di ponti in seguito alle scosse. Il Prefetto di Agrigento per prestare soccorso ordinò la requisizione di tutti gli automezzi e autotrasporti disponibili. All’epoca non esisteva la Protezione civile e non c’erano strutture in grado di portare velocemente soccorso alle popolazioni colpite da terremoto. È così che l’ordinamento italiano recepisce il concetto di calamità naturale e di catastrofe.

La gestione emergenziale consistette nella mancanza assoluta di coordinazione delle forze in campo, lentezza e disorganizzazione dei primi soccorsi. A due settimane dal terremoto del 15 gennaio, secondo le dichiarazioni dei sindaci dei paesi terremotati, mancavano viveri, tende, medicinali, Non mancarono episodi di sciacallaggio, speculazione e strozzinaggio sugli averi delle popolazioni scampate al sisma, che viste le impellenti necessità, furono costrette a svendere bestiame e beni vari, per procurarsi il denaro necessario per abbandonare definitivamente il luogo d’origine.

S. Ninfa, Gibellina, Salaparuta, Montevago, Partanna, Poggioreale e Santa Margherita Belice, riportano danni gravissimi, in totale 14 centri colpiti dal sisma tre le province coinvolte: Trapani, Agrigento e Palermo. Il 90% del patrimonio edilizio subì danni irreparabili, furono distrutte 9.000 case,  antiche chiese, vetusti palazzi e castelli. Un territorio, la Valle del Belice che ha così scoperto quanto fragile sia il suo assetto geologico e che all’epoca del terremoto, non era classificato come sismico.

Sulla gravità del danno certamente pesarono gravemente le caratteristiche costruttive degli edifici oltre che la loro vetustà, ma soprattutto un sisma che fu ondulatorio e sussultorio. Un terremoto violento, un evento sismico di magnitudo Mw 6.5 – Intensità epicentrale X scala MCS. Santa Ninfa aveva 1.928 edifici: ne fu distrutto più del 43%; il 47% fu danneggiato gravemente e solo il 9% risultò lesionato in modo più leggero. Era di Domenica quel 15 gennaio e ricordo c’era la neve e si annunciava come una domenica speciale.

Tutto il paese era ammantato da una candida coltre e il fuoco scoppiettava in cucina ni lu fucularu è la quadara vugghia . Felice per la neve, perché fino ad allora (rientrati definitivamente dal Venezuela l’estate prima) l’unica neve che avevo visto e conosciuto era solo quella nel presepe . 53 anni dopo, forte ed indistruttibile è in me il ricordo del terremoto. Un insegnamento sempre vivo. Io ricordo e molti fortunati come me lo possono ricordare perché abbiamo avuto in sorte il dono di restare vivi.

  La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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