Rostagno: 26 anni per una sentenza tra depistaggi e omissioni

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
16 Maggio 2014 07:38
Rostagno: 26 anni per una sentenza tra depistaggi e omissioni

Sono stati necessari 26 anni, di cui gli ultimi 3 trascorsi in un'aula di tribunale, per arrivare a una prima verita' processuale - l'ergastolo per il capomafia e il killer inflitto stasera - sull'assassinio del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, freddato a 46 anni, la sera del 26 settembre 1988 in contrada Lenzi a Valderice (Trapani) a pochi metri dalla comunita' terapeutica "Saman" da lui costituita.

Torinese d'origine ma "trapanese per scelta", il fondatore di Lotta Continua che negli anni '80 additava i boss dagli schermi della piccola emittente televisiva Rtc sarebbe stato ucciso dalla mafia, "infastidita" dalla sua attivita' giornalistica di denuncia. E' questa la tesi sostenuta dall'accusa nel processo che si e' aperto il 2 febbraio 2011 davanti alla Corte d'Assise di Trapani a carico del capomafia Vincenzo Virga e del sicario della famiglia mafiosa locale Vito Mazzara, ritenuti rispettivamente mandante ed esecutore dell'agguato.

Un dibattimento durato 3 anni e 3 mesi per un totale di 76 udienze celebrate, 144 testi ascoltati e 4 perizie eseguite. Il delitto, per i pm della Dda di Palermo Francesco del Bene e Gaetano Paci, fu eseguito secondo un "modus operandi tipicamente mafioso". Un commando di sicari - "tre uomini" secondo le sorelle Emilia e Silvana Fonte che li videro passare a bordo di una Fiat Uno - sorprese Rostagno al volante della sua Duna bianca in una strada stretta e buia. Furono sparate due sequenze di colpi, partite da un fucile calibro 12, che pero' s'inceppo', e da una calibro 38. Illesa Monica Serra, la venticinquenne ospite della Saman deceduta di recente, che era al lato passeggero: solo uno schizzo di sangue sulla sua giacca. La scelta di lasciare viva la testimone, il tipo di armi usate, la sequenza e precisione dei colpi e l'utilizzo di un'auto rubata proverebbero, per la pubblica accusa, la presenza di Mazzara sulla scena del crimine.

A carico del presunto killer peserebbe, per i magistrati, anche l'esito della super perizia genetica che ha riscontrato una "forte compatibilita'" tra le tracce rinvenute nel sottocanna del fucile usato per l'agguato e il dna di Mazzara. "E se c'era Mazzara - e' la conclusione della Dda - fu mandato dall'allora capomafia Virga perche' sono queste le regole di Cosa nostra".

Ma al processo si arriva dopo anni di depistaggi e omissioni - oggetto di un'indagine parallela della Dda di Palermo - e di piste investigative imboccate ma poi archiviate, come quella "interna" alla Saman che nel '96 porto' all'arresto di Serra e altri ospiti della comunita', nonche' dell'ex compagna della vittima, Chicca Roveri.

Il caso venne riaperto nel 2008 grazie a una perizia balistica dovuta all'intuizione del capo della mobile di Trapani Giuseppe Linares. Il 17 novembre 2010 il gip di Palermo Ettorina Contino rinvio' a giudizio i due imputati, gia' detenuti per altri omicidi. Sei mesi piu' tardi si apri' il processo. "Finalmente dopo 22 anni siamo in un'aula di giustizia" commento', quel giorno, della figlia di Rostagno, Maddalena. Durante il processo hanno deposto diversi collaboratori di giustizia, tra cui Giovanni Brusca, Francesco Milazzo ad Angelo Siino, che hanno ricollegato l'assassinio a Cosa nostra. Mafia, ma non solo mafia.

I pm nella loro requisitoria non hanno escluso il possibile coinvolgimento dalla loggia massonica coperta "Iside 2" a cui erano iscritti personaggi potenti del trapanese, boss e politici influenti. Un impianto accusatorio definito, tuttavia, "un teorema senza prove" dalle difese, rappresentate dagli avvocati Vito e Salvatore Galuffo (per Mazzara) e Giuseppe Ingrassia e Stefano Vezzadini (per Virga). Centrale, per i legali di Mazzara, il mancato riconoscimento del presunto killer da parte delle sorelle Fonte convocate in questura nel 2010 per una ricognizione fotografica di cui pero' non fu redatto alcun verbale. Secondo le difese, e' anche improbabile che Mazzara, campione di tiro a volo, abbia fatto esplodere un fucile.

Contestate duramente anche le modalita' e l'esito dell'esame peritale sul dna, messi in dubbio dal consulente di parte, l'ex generale del Ris Luciano Garofano. Nel corso del processo, entrambi gli imputati hanno professato la propria innocenza.

Virga, rendendo dichiarazioni spontanee, ha attribuito il delitto a "un'armata Brancaleone". La difesa ha anche scandagliato piste "alternative" a quella mafiosa: dall'ipotesi dell'omicidio politico maturato in seno a Lotta Continua e legato all'assassinio del commissario Luigi Calabresi a un presunto regolamento interno alla Saman per la gestione di consistenti contributi pubblici in favore della struttura. Una filone che ruota attorno all'ex guru Francesco Cardella, in passato indagato per il delitto, ma poi prosciolto, condannato per truffa e deceduto due anni fa in Nicaragua. - "Sospettai che Cardella - ha detto Roveri in aula, risentita il 17 luglio scorso - sapesse dei particolari riguardanti l'omicidio di Mauro e che facesse parte del sodalizio mafia-circolo massonico Scontrino".

Altra pista e' quella di un presunto traffico internazionale di armi destinate alla Somalia che legherebbe la vicenda di Rostagno all'assassinio di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa a Mogadiscio. Rostagno avrebbe filmato un trasbordo d'armi ma della vhs non ci sarebbe traccia. Il trasferimento sarebbe avvenuto nell'ex base militare di Kinisia che, secondo il teste Antonino Arconte, ex "gladiatore" sentito in aula il 10 aprile 2013, potrebbe coincidere con la stazione "Sk" della cellula paramilitare "Gladio". Da qui l'ipotesi di un "omicidio di Stato" con il presunto coinvolgimento dei servizi segreti deviati e l'esame, nel corso di un'udienza" top secret", di alcuni 007.

Di quanto scoperto nelle sue inchieste, Rostagno avrebbe parlato anche al giudice Giovanni Falcone, poco prima di morire. "Lo incontro' nell'estate dell'88" ha testimoniato in aula Barbara Sanzo, segretaria giudiziaria del magistrato assassinato dalla mafia nel '92. Nel corso del processo, che ha visto deporre anche personaggi noti come lo scrittore e conduttore Corrado Augias, l'ex brigatista Renato Curcio, il giornalista e deputato Claudio Fava, non sono mancati i "gialli".

Hanno tenuto banco le misteriose sparizioni di reperti balistici, tra cui il proiettile estratto dalla tempia di Rostagno, e di videocassette, scomparse persino "dagli armadi della Distrettuale antimafia" come rimarcato dalla difesa. Tra i colpi di scena, anche la scoperta di un testimone: Antonio Scalabrino, mai sentito dagli inquirenti, chiamato a deporre, per la prima volta, nell'ambito del processo lo scorso 26 giugno. L'insegnante di Lenzi, udi' gli spari vicino casa e avverti' i carabinieri.

Qualche giorno dopo il delitto, due uomini in borghese si presentarono a casa sua qualificandosi come "appartenenti alle forze dell'ordine". Ma di questa visita non ci sarebbe alcuna traccia negli atti ufficiali. Ennesimo giallo di una vicenda caratterizzata da molte "sottovalutazioni investigative" come le hanno definite i pm facendo riferimento ad alcuni inquirenti dell'epoca.

(AGI)

16-05-2014 9,35

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