Mostra fotografica “La Cultura di un Volto”. Ne parla il maestro Martinciglio

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
19 Marzo 2014 14:38
Mostra fotografica “La Cultura di un Volto”. Ne parla il maestro Martinciglio

Dal 25 al 29 marzo si svolgerà all'interno del Collegio dei Gesuiti di piazza Plebiscito la mostra fotografica intitolata "La Cultura di un Volto". L'allestimento e la produzione fotografica, che potrà essere visitata gratuitamente dalle ore 16 alle 18, è curata dagli studenti dell'Istituto di istruzione Secondaria Superiore "Liceo G.G. Adria- G.P. Ballatore" di Mazara del Vallo del quale è dirigente la prof.ssa Vita Biundo. Coordinatrici del progetto sono le professoresse Francesca Risalvato e Tommasa Sciacca, mentre a guidare gli studenti

nel mondo della fotografia è stato l'esperto Salvino Martinciglio che ha spiegato alla nostra redazione il perché della mostra e le finalità del progetto avviato con i liceali.

Salvino, in un tuo scritto tu affermi che "la fotografia diventa intermediaria, perché medium tra due entità, la realtà e la realtà manipolata". Ma come può non essere conforme al reale il ritratto di un soggetto?

"Fin dai primi scatti i corsisti hanno notato che il ritratto ha avuto - e lo ha ancora oggi - una serie di "incertezze", e quando si sono avventurati nel riprodurre soggetti che non hanno cognizione di se tramite una posa si va per grandi linee verso le riconoscibilità da parte della stessa persona che è stata ritratta, il suo volto è entrato di fatto in un personaggio vero o fittizio. Esiste in tutte le foto intrinsecamente uno sforzo di apparizione del volto da parte del soggetto, una paura, spesso celata da un sorriso, i volti tendono a far fronte ad una impresa, ad un traguardo che ha una sua pubblicità consapevoli del porsi ad un giudizio dinanzi ad altri occhi. Per questo - ma non in questo caso - molto spesso la foto rubata al soggetto diventa il modello di un riconoscimento mancato per l'interessato è perfettamente riuscito per tutti gli altri".

Una domanda che in molti si pongono: cosa è più importante del posare davanti a una macchina fotografica?

"Il fotografo cerca in un solo attimo fugace tramite il suo sentire di rendere evidente la storia di un uomo, la sua cultura, la sua "identità" ed è per questo che ogni ritratto è affascinante, è al tempo stesso un mistero disvelato è da svelare. Precisamente in ogni ritratto è insita la domanda: quale destino c'è dentro questa fotografia? In ogni scatto è detto tutto senza che nulla sia detto chiaramente. Alcuni vedranno molto secondo le loro capacità di penetrazione e alcuni non vedranno nulla, ognuno per una propria formazione dell'io, sta di fatto che lo scopo del soggetto è il desiderio consapevole o no, "del rimanere", di esprime attraverso l'istantanea il "sono qui e vorrei restarci".

I soggetti attraverso l'immobilità degli scatti si offrono interamente allo sguardo degli altri, ognuno potrà guardarli senza imbarazzo fissi negli occhi, cercare tra le pieghe delle rughe, rendersi prossimi agli altri. Si può affermare che il tempo di posa in questi scatti è stato percepito come un tempo simbolico dentro il quale si colloca la ricerca dell'io. In questo mostrarsi fotografico, i fotografi aldilà del semplice scatto non hanno avuto una funzione attiva, aspettavano che i fotografati si componessero e premendo successivamente il bottone hanno immortalato l'immagine che il soggetto ha di se.

Si può decisamente parlare con ciò di autoritratto corale, dove attraverso questa coralità i proprietari delle immagini divengono fotografi di se stessi e si consegnano come identità mediata e immediata allo spettatore".

La mostra fotografica rientra nell'ambito di un più ampio progetto sulla "identità virtuale di  facebook. Ci spieghi di cosa si tratta? 

"La pagina di Facebook, però, non è altro che un layout, un aspetto questo che difficilmente fa andare d'accordo facebook con il concetto di identità, il quale, per definizione, rifugge da schemi e tentativi di omologazione, nel senso di tratto unico e originale che appartiene ad un uomo soltanto. Un esempio esplicativo di questo rigido "inscatolamento" è proprio la sagoma bianca su sfondo azzurro che non aspetta altro che di accogliere una nostra fotografia: una costruzione in serie delle identità che, alla fine, rischiano di non essere più identità.

E' chiaro come la cultura digitale stia ridefinendo caratteri e confini della nostra identità, sia personale che collettiva. Questo micro progetto nel progetto "la cultura di un volto" parte dalla riflessione di un fotografo ancora tuttora sconosciuto, che nel 1900 copri il suo volto davanti la macchina fotografica, per denunciare l'impossibilità da parte della stessa di rendere l'identità di un volto nell'era dove l'artisticità della pittura era stata definitivamente surclassata dall'utomatismo.

A noi piace pensare allo stesso fotografo iscritto oggi su facebook sotto uno pseudonimo e accompagnato da una breve nota che descrive la sua identità: "Il mio nome è Nessuno e sono il condottiero di questi sventurati uomini che per sbaglio sono venuti a disturbare."

19-03-2014 15,30

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