Misteridicittà/ Storie di vicoli insanguinati, la “strata di li cutedda” e “l’omini d’onuri”.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
26 Luglio 2015 12:19
Misteridicittà/ Storie di vicoli insanguinati, la “strata di li cutedda” e “l’omini d’onuri”.

“Minicu, quantu?... Un parmu c tanticchiedda,Cantau? - 'Un ha cantatu. Menumali!....chi fannu ora? - Ci trasinu 'i vuredda...;bona allippau.... Chi fu, stili o pugnali?Chi pugnali, 'u schifiudi li cutedda!Menzu filu?- No - Triangulu? - Ca quali!...E allura? - 'U cincu sordi- A lapparedda?Si.... Ma.... trasiu c' 'u manicu?! - Funnalié, no l'- T' 'u dissi, un parmu avanzateddu...

Mutu, ca sta parranuu!... Eh, vilunazzu!...Cu' è chissu ca 'u 'nterruga? U dutturi...Chi rispusi?... "Cuteddu cu cuteddu,"'a giustizia, si campu, ju stissu, 'a fazzu;nun parru "- Bravu! É giuvini d onuri!”(Nino Martoglio)

Dopo averVi dilettato e affascinato con misteri legati a fenomeni naturali e religiosi oggi vogliamo proporVi uno dei misteri legati a cupi fatti di sangue, ma non è sangue fresco, è già rappreso anche nel ricordo dei più, sono in pochi infatti coloro i quali hanno ancora in qualche cassetto della memoria queste vicende.

A distanza di molti decenni quei cassetti possono far girare la chiave nella serratura scricchiolante, il passato non può né far male né vendicarsi né tantomeno far star zitto chi è stato testimone volente o nolente, diretto o indiretto dei parecchi atti delittuosi che hanno dato l’appellativo di “strata di li cutedda” al protagonista di quest’oggi, eh sì il protagonista non è un uomo, è un vicolo, il vicolo dei coltelli, da anni chiuso con un cancello (vedi foto n.1).

Parecchi non sanno della sua esistenza né tantomeno la sua ubicazione eppure è sempre stato lì, accanto ad una delle zone più trafficate di Mazara a qualsiasi ora del giorno e della notte, chi passeggiando va dal largo Alberto Rizzo Marino verso via Garibaldi se lo trova sulla destra (vedi foto n.2) proprio accanto alla barocchissima chiesa sconsacrata di Santa Veneranda, un po’ nascosta come si potrebbe immaginare, è stata scelta proprio per la sua posizione visto lo scopo di chi se ne serviva.

Per meglio comprendere una storia è fondamentale la contestualizzazione, dobbiamo immergerci in quell’epoca, respirare la stessa aria, cercare di provare le stesse sensazioni, e le stesse emozioni di chi abitava quel periodo, il tutto sennò rischierebbe di scadere nella futilità e a volte nella ridicolaggine se guardato con gli occhi attuali e applicando le nostre logiche e le nostre leggi.

Era il periodo, ai primi del ‘900, in cui gli amministratori stanchi del vecchio o forse con l’illusione di modernizzare la realtà del luogo decisero di demolire ciò che rimaneva del glorioso passato, le mura cittadine, iniziavano a crescere la zona Trasmazzaro e Santa Maria di Gesù dove i pescatori trovavano luoghi adatti per le loro abitazioni, andando a vivere quasi accanto ai contadini facendo di necessità virtù.

Quello era il periodo in cui la discriminazione era ben diversa di oggi, un periodo che con tutti i suoi problemi consentiva alla gente ancora di sognare, quando eri consapevole che se nascevi povero probabilmente era così che te ne saresti andato a meno che non fossi entrato a far parte di qualche combriccola di briganti e allora le opzioni della dipartita sarebbero state ben altre.

Un periodo che dopotutto consentiva di essere felici con poco, forse perché poco si conosceva, l’orizzonte personale corrispondeva con quello del quartiere e con le possibilità familiari. E chi aveva il coraggio di partire lo faceva con un forte spirito di avventura accompagnato da mille dubbi paure e insicurezze, perché si sa “cu lassa la strata vecchia pì la nova sapi chiddu chi lassa ma un sapi chiddu chi attrova”.

Il periodo in cui i figli facevano il mestiere dei padri, e avevano quasi obbligatoriamente il destino segnato, come “segnati” erano molti personaggi dell’epoca, se provassimo a immaginare il centro storico un centinaio di anni fa li possiamo vedere, guardate sembrano quasi attori di un film.

Avete iniziato a vedere tutto seppia, ingiallito? Bene vi state avvicinando, proprio lì accanto al seminario si dirigono verso di noi, un gruppo di bambini con le scarpe impolverate (come tutti quanti visto che l’asfalto si è presentato solo in epoca recente) gioca con un cerchio di ferro (vallo a spiegare ai pargoli di oggi che ci si diverte anche senza xbox!), passandogli accanto quasi si zittiscono riverenzialmente.

L’atmosfera che si respira si fa muta, chi stava parlando dei propri sogni di lasciare questi luoghi per recarsi con un passaggio da cento lire nelle Americhe, interrompe i discorsi, rimette i sogni nel cassetto nel frattempo ingranditi alla vista di quegli uomini, fa un lieve cenno di inchino con il capo e saluta chiedendo la benedizione. Passano, vanno via e la vita riprende a scorrere fino alla prossima pausa di silenziosa riverenza, tra quelle stradine costruite in stile arabo strette fatte a misura di carretto, per proteggersi dal sole, dai delinquenti o dalle guardie. Rispetto.

Quello era rispetto, né più né meno. Perché si sappia che a chi comanda si porta rispetto. Perché prima o poi tutti avranno bisogno di andare a chiedere udienza e se non ci si sa comportare è più difficile ottenere la risoluzione di certe problematiche. E che problemi potranno mai essere? Legali, di giustizia, diatribe più o meno grandi. Lo stato, ispiratosi forse al Vallo di Adriano, oltre questo di Vallo non si fa sentire, o non lo si vuole sentire o non gli è stato concesso.

La mano della giustizia sono loro, quelli che sono appena passati, cu lu gileccu, lu cappeddu e li stivala di coriu.

Ma questa giustizia come si amministrava? Non di certo davanti al classico tribunale, sia mai! Il “giudice supremo” non compariva quasi mai, aveva solo il potere decisionale a porte chiuse, poi a sentenza emessa, c’era il lavoro da svolgere per dirimere la questione e qui entrano in gioco i mandanti e i mandati, che facevano il lavoro sporco di portare le varie comunicazioni sugli esiti.

Raccontando si è già fatta sera, la gente sa che è meglio non stare troppo per strada a quell’ora, non tanto per personale incolumità quanto per non disturbare i comunicatori che potevano esserci , perché si sa se si vuole mantenere il rispetto, ingrediente principale è l’omertà, ma per evitare di esercitarla bastava davvero non vedere nulla, quindi tutti a casa, anche perché l’indomani la campagna attende e per quell’ora tutti i lavoro notturni sono già svolti, alcuni uomini passavano la sera con gli amici o i parenti in qualche bettola stando in compagnia a bere e a fumare godendo magari della frescura e di quei pochi momenti di spensierata serenità, ce ne stavano diverse nei vari quartieri, dove i lavoratori dei vari settori si riunivano per discutere anche dei problemi del loro ambito, di raccolta si parlava nella “strata di la cursa” (via Vittorio Veneto), di reti e naufragi nei dintorni di piazza Regina.

Ma se volessimo sbirciare come dall’alto possiamo vedere proprio là nei pressi della commerciale via Garibaldi il nostro mandante che dopo avere impartito gli ordini invia il mandato, un uomo dall’apparenza semplice, se non fosse per quella cicatrice che gli sfigura il collo, la coppola di bassa manifattura abbassata a coprire lo sguardo, non è dato sapere se i suoi compiti rientrino nella sua natura di uomo o se si trova costretto ad obbedire forse a sconto di un riscatto sociale, si incontra con un uomo, non si parlano ma iniziano a camminare accanto, passo veloce e scompaiono, proviamo a seguirli, incontrano un altro uomo nei pressi della piazza Santa Veneranda, media statura, calvo abbigliamento da contadino, attira la loro attenzione con un cenno della mano e loro rispondono con il classico impercettibile cenno della testa come a voler dirgli di seguirli, lo attendono, e tutti e tre fanno il percorso inverso, superano la chiesa e si fermano, l’uomo calvo forse pensa che lo stanno conducendo ad incontrare il signorotto, ma è lì che il nostro vicolo protagonista fa la sua comparsa, è lì che l’uomo calvo, viene quasi trascinato forse ora sa a cosa sta andando incontro, ma lo fa con un certa fierezza, con onore, l’uomo con la coppola lo accompagna, vediamo appena cosa accade, un coltello brilla alla luce della luna, penetra l’addome del contadino percorrendolo per finire sotto lo sterno, girando il coltello per arrecare più danno possibile, solo un flebile lamento esce dalla bocca onorevole dell’uomo che spira col terrore negli occhi.

Poi un gesto inaspettato, l’uomo con la coppola e il coltello in mano, fa qualche passo avanti lo alza e lo strofina come a volerlo pulire su un crocifisso che si trova nella chisiola (edicola votiva) nello stesso vicolo (vedi foto n. 3 gentilmente concessa da Pino Catalano attraverso il suo bellissimo blog dedicato a Mazara del Vallo http://pinum.blogspot.it/)Dopotutto forse è vero, non era nella sua natura compiere atti delittuosi, con quel gesto è come se avesse voluto affidare l’anima al Cristo con il quale la sua vittima ha condiviso il modus morendi, come se avesse voluto pulirsi dal sangue versato, o ringraziare che quell’altro non avesse armi con sé, dopotutto anche per quel motivo aveva portato l’amico, perché quell’omicidio doveva essere commesso, perché quell’uomo aveva mancato di rispetto ancora una volta, e di certo non era permesso che ci si facesse beffe del vero potere “protettivo” della zona.Ma ecco che esce dal vicolo e dopo uno sguardo e un cenno di assenso i due si dividono e vanno via, l’uomo con la coppola andrà a dire che tutto è stato compiuto e il don può stare tranquillo, l’altro amico fa una deviazione e poi va a casa.

Ancora lì come a sperare che l’uomo calvo possa uscire dal vicolo udiamo invece uno strano cigolio, appare una figura piccola e un po’ curvata, le braccia all’indietro come se stesse trascinando qualcosa, è così, trascina lu carrumattu, un sistema di trasporto semplice, delle assi su 4, 6 o 8 ruote che serve principalmente per trasportare fasci o materiale utile alla campagna, ma la notte espleta un’altra sua funzione, sempre da carro ma funebre, l’uomo che lo porta è stato avvisato, forse dall’amico che ha fatto quella deviazione, e va a pulire la zona del misfatto. I vari tipi di carri funebri dell’epoca palesavano la condizione sociale del defunto, ma per i morti ammazzati spesso c’era solo lu carrumattu, specie durante quei bui periodi per la società ma floridi per le bande di briganti dove i morti ammazzati erano davvero tanti, si riempiva il carromatto e si faceva fossa comune.

Impalati accanto a quel vicolo, increduli per la realtà a noi lontana ci vediamo catapultati un po’ più in qua nel tempo, quando la "strada di li cuteddra" (che sbocca in via Maddalena) è stata adiuvata da strade cooprotagoniste, altri luoghi, dove i signorotti di turno e di zona facevano rispettare l’onore del loro potere, luoghi che in comune hanno il buio e i lamenti di chi sta per abbandonare la vita terrena, venivano commessi misfatti arrè “lu cozzu” (via V. Leto) nella “strata di li mulina” (via Tortorici). (in foto n.4 Santa Veneranda negli anni '20, foto concessa sempre da Pino Catalano) 

E col tempo anche la gerarchia va cambiando, magari il don di turno è avanzato di grado e ha delegato questi compiti, sta di fatto che in tempi più recenti a visitare questi luoghi erano gli “aggiustafacerni”, coloro i quali godevano di rispetto perché intimorivano ma spesso in senso buono, sapevano dare consigli ed essere imparziali e la gente di questi signori si fidava, perché la loro parola era legge e chi aveva una diatriba e si rivolgeva a loro poi era costretto a fare come lu zù Tizio aveva stabilito, sennò avrebbe preso un rimprovero, ma non sono paragonabili minimamente a quelli odierni, quei richiami sembravano attacchi all’onore, quasi minacce perché la parola data davanti a loro doveva essere rispettata, si stringeva la mano e si diceva: “Parola d’onuri”, e l’atto verbale era sancito, altro che notaio! Qui si rischiava di più! L’onore appunto!

Alcuni di questi signori erano noti con il nome di: lu zù Vicenzu, lu zù Ninu di lu cozzu e lu zù Luigi di lu Bagghiu di Fanti (Baglio Elefante) quest’ultimo era lo zio (vero parente) di lu zì Ninu, lo si vedeva camminare proprio come il don che abbiamo visto per le vie del centro, quello a cui la gente baciava le mani e chiedeva benedizioni, anche lui cappello, gilet e stivali e pistola sempre al fianco. Pronto ad elargire consigli specie ai bambini che lo circondavano e mitizzavano diceva: “Lu patri, si tu vo purtari la pistola un ‘nni l’ha fari abbiriri a nuddu, un s’ava a biriri chi l’ha d’appressu, e un ha diri mai: “ora ti sparu”, o “ora ti tagghiu la faccia”, prima ci la tagghi o ci spari e poi ci lu rici”

Infatti un aneddoto di un nostro lettore ci ricorda che lu zù Luigi era stato avvisato che un altro personaggio particolare di Mazara aveva dato appuntamento in uno di quei famosi posti ad un suo nipote, prima non ci si avvisava se non tramite visita personale, e poi il corriere comunicava luogo e data dell’appuntamento, allora lu zu Luigi stupito e arrabbiato per il fatto che qualcuno per dirimere una qualche questione abbia avuto il coraggio di chiamare direttamente il nipote senza avergli chiesto il permesso, si presenta al posto del parente davanti al convocatore, e dopo aver accertato la situazione, senza batter ciglio estrae il coltello e lo fende al volto, dopo averlo fatto dice: “Un ti permettiri cchiu a chiamari a me niputi sennò ti tagghiu la faccia” proprio come aveva appena fatto! Mai dire al nemico cosa hai intenzione di fare. Sembrano proprio scenari di un film o pagine di un libro, ma queste vicende appartengono al nostro passato, i nostri nonni, i loro padri e nonni le hanno viste, vissute se non sofferte.

Modi di vivere che garantivano a chi ne era estraneo una città serena, senza ladri, scippatori, ubriachi per strada, si sapeva che ogni crimine non restava impunito. Ma a quale prezzo?

Oggi non si vedono più così quei vicoli ormai “ceramizzati”, non si vedono più carri matti in giro a trasportare né fasci né cadaveri. Ma la criminalità fa parte della natura dell’uomo, ha altri amari sapori, altre illogiche motivazioni, ma non esiste più la legge che il sangue e l’onore si pagano col sangue non sarebbe più possibile. Il buonsenso e l’omertà sono delle cose che stanno crescendo una a scapito dell’altra, l’omertà si va rarefacendo, perché si è forse capito coscienziosamente che celando la verità si sta in realtà precludendo ai nostri figli una realtà limpida. Il setaccio dell’onestà dovrebbe trattenere dentro la sua “griglia” chi non è idoneo ad attraversarla.

Il "vicolo dei coltelli" è rimasto lì, a testimoniare un nefasto passato. La conoscenza ci allontana dall’ignoranza ma ci avvicina alla consapevolezza, ci fa guardare con occhi diversi il presente per meglio affrontare il futuro.

Rosa Maria Alfieri

26-07-2015 14,15

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