Mazara, mostra fotografica “Belice 50 anni dopo”. Intervista all’ideatore Roberto Rubino

Redazione Prima Pagina Mazara
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08 Novembre 2018 12:18
Mazara,  mostra fotografica “Belice 50 anni dopo”. Intervista all’ideatore Roberto Rubino

Il tempo sembra essersi fermato, negli scatti della mostra fotografica dal titolo “Belice 50 anni dopo”, che celebra i 50 anni dal terremoto del Belice. Una mostra fortemente voluta dal fotografo mazarese Roberto Rubino, che dopo aver inserito alcune delle foto sul terremoto in una sezione speciale all'interno della quarta edizione del festival internazionale della fotografia del Mediterraneo, conclusasi il 7 ottobre, ha deciso che il ricordo del terremoto del Belice meritasse uno spazio proprio, una propria identità.

E così la mostra si arricchisce di un'ampia galleria fotografica che comprende, oltre agli scatti dell'epoca dei fotografi Nino Giaramidaro, Melo Minnella  e Nicola Scafidi, che rappresentano una testimonianza diretta di ciò che avvenne in quei giorni, anche del contributo dello stesso Rubino, con alcune foto artistiche che hanno come sfondo le rovine della città di Poggioreale vecchia. La mostra, realizzata col patrocinio del Comune di Mazara del Vallo, è ospitata nei locali della Galleria d'arte Santo Vassallo del complesso Corridoni e sarà inaugurata il 10 novembre alle ore 18 30.

Abbiamo incontrato l'ideatore, Roberto Rubino Roberto Rubino, come nasce l'idea di questa mostra, subito dopo il successo del festival internazionale della fotografia? “Desidero innanzitutto ringraziare l'amministrazione e in particolar modo il sindaco Cristaldi per la sensibilità che da sempre mostra nel patrocinare questo tipo di eventi artistici e culturali. La mostra nasce per tanti motivi. Intanto perchè è un anniversario  importante, che serve anche per trarre un bilancio. Poi perchè è necessario coltivare la memoria, e cosa c'è di più vero, di più realistico, di più tangibile della memoria fotografica? E poi voglio ricordare che la città di Mazara accolse tanti sfollati, fu vicina alle popolazioni del Belice, lo stesso ospedale Abele Ajello, appena costruito, fu aperto in quell'occasione, per accogliere i feriti”.

Il terremoto del Belice rappresenta ancora una ferita, o è stato una specie di spartiacque tra due epoche, facendo transitare questo scorcio di Sicilia verso la modernità? “Il terremoto del Belice è stato un dramma, non solo per il numero di morti (che poteva tuttavia essere più alto) e di feriti, ma perchè è andato a sconquassare un territorio che era già fragile di suo, con un'economia povera, un tessuto sociale ed economico fragile, dove c'era molta arretratezza, poche infrastrutture, una società prevalentemente agricola, già colpita dall'emigrazione.

A ciò si aggiunge l'incapacità dello stato di fronteggiare l'emergenza, la lentezza della ricostruzione che si è tradotta, ed è stata vissuta, come un vero e proprio abbandono. Però la sua gente è riuscita a rialzarsi, a riscattarsi con grande dignità, grazie anche ad alcuni personaggi come Ludovico Corrao, Danilo Dolci, o l'artista Pietro Consagra. Diciamo che l'arte ha avuto un ruolo determinante nella rinascita del Belice”. La vecchia città di Poggioreale è un set molto amato da fotografi e registi.

Anche lei lo ha spesso scelto come sfondo per le sue foto. “Si, è vero. Poggioreale è un luogo sospeso tra presente e passato, molto suggestivo, un paese fantasma ricco di fascino e di memoria. E' un posto dove la vita si è fermata, dove il silenzio è disarmante. Per questo rappresenta un set molto ricercato per fotografi, registi ecc. Giuseppe Tornatore, per fare un esempio, vi girò alcune scene dei suoi film, “Malena” e “L'uomo delle stelle”. Cosa testimoniano le foto d'epoca? “E' una documentazione che restituisce la complessità e il dramma di quanto si presentò agli occhi di fotografi, fotoreporter, giornalisti che si precipitarono li all'indomani del sisma.

Le macerie, la disperazione degli sfollati, e poi la baraccopoli, la vita quotidiana nelle baracche, le manifestazioni di protesta nei mesi successivi”. La sezione dedicata alle sue foto si intitola “ Eros e Thanatos” “E' un concetto simbolico, che riprende il principio freudiano della vita come eterna lotta tra pulsione di vita e pulsione di morte, dove l'Eros è il principio del piacere e della vita, mentre Thanatos rappresenta l'idea della morte e della distruzione. E' la morte, infatti, con la sua funzione catartica, che ci da' consapevolezza della vita.

E cosa c'è più disastroso di un terremoto per simboleggiare la morte, e la bellezza del corpo femminile come simbolo eterno e immutato di eros e di vita? E' la donna, nelle foto, che cattura la scena, che si aggira sui luoghi della morte con il suo velo nero ma che alla fine, si spoglia degli abiti del lutto. Cosi le rovine del terremoto, rimangono alle spalle e il focus su cui si sofferma lo sguardo diventa lei, il corpo della donna, simbolo di bellezza, di fecondità e di rinascita, che ho voluto omaggiare con la scelta del bianco e nero, che elimina ogni fronzolo e riduce tutto all'essenziale”.

  La mostra resterà aperta dal 10 al 25 novembre ed è visitabile tutti i giorni, presso il Complesso monumentale Filippo Corridoni di Mazara del Vallo.   Francesco Mezzapelle

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