L’Elzeviro di Bonagiuso: Lettera a Paolo Borsellino

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
19 Luglio 2020 18:57
L’Elzeviro di Bonagiuso: Lettera a Paolo Borsellino

Signor Giudice, mi scusi se la vengo ad importunare da morto; perché il giorno in cui l’hanno fatta salatare su una bomba io ero un giovane studente universitario, già alluccuto per la morte di Giovanni Falcone, della moglie e degli uomini della sua scorta. Che poi, in questa frase cumulativa riassumiamo il senso di lutto per tutto uno Stato fatto anche di trame oscure e vergognose, di fetenti e di collusi, di menti raffinatissime e di vertici innominabili. Signor Giudice, vengo ad importunarla da morto perché vorrei chiederle perdono: perdono per quelle immagini un poco sgranate, betacam e vhs, piene di quadrettoni e di sfocature, che un poco saltellano quando le rivedi sul digitale; proprio per quelle immagini, signor Giudice, vorrei chiederle perdono.

Perché in quella gente, varia e sbigottita, che vaga tra le macerie dello Stato, a Via D’Amelio, c’è tutto il senso della mortificata sconfitta. Sconfitta, senza appello e senza belle parole. Sconfitta. Che non si recupera. E basta. Signor Giudice, noi ci andiamo sempre nelle scuole, a “vuciare” che la mafia è una montagna di merda, e a litigare con quei ragazzi che, con lo spinello in mano, manco si rendono conto che quei piccioli li stanno dando al tritolo per le stragi, in tempo di guerra, e ai conti segreti dei mafiosi, in tempo di pace e affari d’oro.

Altro che extracomunitari spacciatori, Signor Giudice: quella manovalanza senza parola e diritti è. La mafia fa i piccioli, loro la fame. Signor Giudice, ci deve perdonare, sì proprio a noi siciliani che non abbiamo mai saputo dare una e una sola risposta contro il malaffare, e che siamo per la legalità a mezzogiorno, e poi, la sera, se ci propongono un bel 50 e 50, magari ci strizziamo l’occhio e ci facciamo un pensierino. Perché qui se non sei ammanicato con qualcuno, manco alla prucissione del venerdì puoi andare… Altrocchè, se è vero! Signor Giudice, ci deve perdonare soprattutto per tutte le parate, le fiaccolate, le manifestazioni e le memorie che si fermano al giorno designato, mentre poi, i giorni appresso, magari le stesse persone, più o meno incappucciate, cercano di capire come arrivare a manovrare cose, persone, voti… piccioli.

Signor Giudice, io il fresco profumo di cui lei diceva non l’ho mai sentito, se vuole che sia sincero con Lei che è morto per quella idea. Perché dopo Falcone lei poteva pure andarsene a Vigevano, dove al massimo, le toccava indagare su qualche sparatoria babba, o su qualche morto ammazzato per movente sessuale. Invece Lei qui è rimasto, pure quando seppe che la bomba era arrivata. Qua. Fermo. E non è lei che è esploso, Signor Giudice, ma siamo tutti noi, teste di minchia sconfitte che abbiamo fatto il botto.

Signor Giudice, noi non siamo alla sua altezza. Noi siamo “fumeri”, e ci deve perdonare se proprio non ci vuole entrare in testa che il bene comune è come un campo di calcio ben curato, con le linee belle visibili, con l’erba rasa a puntino, senza bozza e timpuni, dove tutti, tutti, possiamo giocare la nostra partita, onestamente. A noi, spesso ci piace mettere il fosso nell’area avversaria, e correre con il motorino truccato, perché ci siamo convinti che potere e piccioli sono le uniche minchia di cose per cui vale la pena campare.

Sti ottanta, novanta, settanta, quelli che il Padreterno ci regala, sembrano anni da spendere a fotti compagno, non a diventare felici e teneri… Minchia, come ci esaltiamo del riconoscimento e del brodo, Signor Giudice, e come ci compiaciamo di quello che magari non siamo. Per questo, ancora perdono, Signor Giudice Borsellino, perché pure questa lettera è tardiva, e non serve ad un cazzo, se non a dare una lavata di lacrime e di nervi alla coscienza.   Ci perdona, allora, Signor Giudice?   Giacomo Bonagiuso

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