Le donne, gli uomini, e la partita di pallone. Di Catia Catania

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
31 Agosto 2015 18:41
Le donne, gli uomini, e la partita di pallone. Di Catia Catania

Io, se rinascessi ancora, vorrei nascere uomo. Ma non perché se sei uomo devi faticare di meno per raggiungere gli stessi traguardi di una donna, e nemmeno per quella cosa lì di non aver sempre pile di roba da stirare, o potere tornar tardi la sera senza il rischio di imbatterti nel maniaco che ti aspetta sotto casa.

Io vorrei essere uomo per partecipare ad un rituale collettivo che, da sempre, agli uomini invidio: l’inizio del campionato di calcio. Ma non solo l’inizio, anche il durante e la fine. Tutto il campionato, insomma. E pure le Coppe europee, naturalmente.

Perché si sa, l’anno non comincia mai il primo gennaio, ma il primo settembre. Il Capodanno lo hanno inventato solo per confonderci. Però mentre per noi donne, da studentesse prima e da mamme poi, l’anno inizia a settembre e finisce a maggio per via della scuola, per voi maschi inizia e finisce col campionato di calcio. Perché niente unisce, aggrega, allontana, avvicina, compatta, empatizza, solidarizza, più di una partita di calcio. Perché intorno al tifo per una squadra nascono e muoiono amicizie, rapporti, storie, legami infantili. E noi donne non sapremo mai cosa vuol dire. Un mondo intero che ci è precluso da sempre e per sempre.

E puoi passare tutta la vita a cercare di farti piacere una partita, a sforzarti di stare impalata li davanti per 90 minuti, a capire finalmente come diavolo funziona questa faccenda del fuori gioco. Tutto inutile. Tempo perso. Non serve a niente. Resti lo stesso un’emarginata, un’esclusa, un’incompetente, un’ignorante, una disadattata. Perché è un universo parallelo dove tu non potrai entrare mai, ma proprio mai. Perché è scritto in una specie di Dna dell’umanità e tu, donna, devi solo rassegnarti a non farne parte.

Il campionato da un senso alla fine dell’estate, alle domeniche pomeriggio a casa, alle mancate uscite del sabato sera, ai risvegli tragici dei lunedì mattina . Fornisce un alibi all’asocialità, alla misoginia, all’ozio, alle domeniche in pantofole davanti alla tv, all’isolamento forzato (forzato per chi? ). Riempie di contenuto le chiacchiere al bar e in ufficio, le serate in pizzeria tra soli uomini, e poi il tifo, vogliamo parlare del tifo? Chili e chili di adrenalina scaricata gratis e a costo zero, senza bisogno di ammazzarsi di fatica in palestra o di imbottirsi di Lexotan o andarsi a cercare hobby improbabili e dai nomi strani e a km di distanza da casa.

Perché voi uomini potete fare tutto dal divano del soggiorno, basta una tv, e poi un computer e un telefono per i commenti. Perchè il calcio vi riempie la vita, diciamocelo pure. Perché se in tv non fanno più niente, se la televisione odierna è inguardabile, il problema è solo nostro, perché voi una partita di calcio da guardare da qualche parte la trovate sempre. Perché da sempre osservo con invidia mio marito che si diverte davanti a TGS Studio Stadio, sforzandomi di capire e chiedendomi cosa ci trovi.

E il dramma è che non gli fanno nemmeno vedere la partita del suo Palermo, commentano soltanto! E pare che te lo fanno apposta, con un sadismo controbilanciato solo dal masochismo di chi li segue, perché loro la partita la stanno vedendo, e tu invece no. Ma li guardi uguale, in una sorta di mistica rassegnazione. E anch’io ce la metto tutta, ma niente. La mia solidarietà è tale che non gli chiedo nemmeno di cambiar canale, comprendendo la sacralità del momento.

Ma tanto è inutile, resto sempre in superficie, con una compenetrazione emotiva pari allo zero.

E invidio voi che vi divertite a commentare, scherzare, prendervi in giro su fb, la domenica sera, pensando che in fondo, nella vita basta davvero poco per essere felici e ammazzarsi di risate. Basta essere nati uomini. E a distanza di anni vorrei dire a Rita Pavone che lui aveva i suoi buoni motivi per non portarla alla partita di pallone e che tanto, se ce l’avesse portata, lei si sarebbe comunque annoiata da morire. E avrebbe fatto bene a trovarsi qualcosa da fare la domenica pomeriggio, invece di rimanere sola a casa. Perchè qui l’emancipazione femminile non c’entra nulla, è una storia antropologicamente antica e che affonda le sue radici in una mutazione genetica di qualche tripletta del Dna.

Catia Catania 

31-08-2015 20,30

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