La pennellata “maschia” di Sabrina Russo

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
14 Gennaio 2015 17:35
La pennellata “maschia” di Sabrina Russo

Per dare l'immortalità all'artista, basta una sola opera d'arte vivente. Egon Schiele.

Nonostante le pittrici e le scultrici, nel grande rinnovamento artistico del secolo scorso, abbiano svolto un ruolo sicuramente rilevante, si sono sempre trovate relegate, purtroppo, in una provincia remota e marginale della storia dell'arte.

Tantissime artiste, appartenenti alle avanguardie storiche, europee, russe, americane – per dirla con il critico Giorgio Manganelli – "ignorate, scomparse, rintanate, morte e disperse, o pensose sul tema del morire, ormai ignare di se stesse, avevano portato alla strepitosa avventura dell'avanguardia una ricchezza straordinaria".

La ricerca formale, ieri e a maggior ragione oggi, non ha sesso e le opere di un uomo e di una donna "a parità di livello qualitativo” non possano essere distinte, né si riesce “a vedere diversità alcuna" (Lea Vergine in “L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche”, Mazzotta, 1980).

L’ espressione artistica al femminile, insomma, non solo ha avuto una sua importanza prima, ma lo ha ancora più oggi in cui, sembra, che i tempi siano più maturi per colmare la tanto lacunosa storia dell'arte femminile.

In cosa, allora, si differenzia l'arte delle donne da quella degli uomini? Sicuramente si distinguono per "l'autoironia, il sarcasmo, il coraggio" (Vergine) e per una spiccata coscienza del legame fra realtà e questione femminile. Queste le riflessioni che ho potuto fare dopo aver visitato la mostra personale della mazarese Sabrina Russo (Palazzo Villani, dal 23 dicembre 2014 al 6 gennaio 2015, Mazara del Vallo). Nel caso della pittura della Russo, non solo non c’è “diversità alcuna” con l’universo cosiddetto maschile ma, addirittura, risulta difficile pensare che siano opere realizzate da una mano femminile.

La pennellata “maschia”, volitiva, di Sabrina – che imprime, con forza, sulla tela emozioni spontanee – si nutre sicuramente delle radici di quel straordinario movimento artistico che è stato l’Espressionismo (e in particolare delle opere di Kirchner, Ensor, Nolde, Schiele e Kokoschka) per immediatezza e sincerità; il suo linguaggio pittorico apparentemente “primitivo” risulta indispensabile per evidenziare la falsità della vita e della cultura borghese e il dramma esistenziale dell’uomo del nostro tempo.

L’”urlo” (di munchiana memoria) di Sabrina denuncia le infinite contraddizioni della società contemporanea, le sue pennellate affondano come la forza di un bisturi sulle sue numerose ferite (le guerre e le “missioni di pace”, gli immigrati e gli sbarchi, i troppi naufragi, l’indifferenza di fronte alle tragedie dei cosiddetti “ultimi”) come a voler “estirpare” definitivamente il dolore. Tutto è avvolto da un “cielo plumbeo” (Franco Nocera, dalla Presentazione in catalogo) nei paesaggi dalle prospettive im-possibili e nelle figure de-formate, quando affronta temi “aspri” e quando corre sul filo dell’autobiografismo (le diverse “maternità”) e della quotidianità; il bianco non è più bianco nemmeno quando la sua ri-cerca si accosta al mondo favolistico dell’infanzia. Il “racconto” coraggioso di Sabrina Russo è una filastrocca dolorosa e melanconica, a volte autoironica e sarcastica.

Giuseppe Camporeale, nel delineare la pittura di Sabrina, parla di “espressionismo poetico” (nel testo in catalogo); la sua è sicuramente una poesia “amara”, di un amaro che si attacca al palato e vi rimane per molto tempo!

Giacomo Cuttone

14/01/2015 18:34

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