“La Giornata Mondiale del Velo Islamico” fra tradizione, cultura e legislazione

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
01 Febbraio 2019 13:17
“La Giornata Mondiale del Velo Islamico” fra tradizione, cultura e legislazione

Il 1 Febbraio di ogni anno si celebra la “Giornata del Velo Islamico” conosciuta, anche, come “World Hijab Day”. Nazma Khan, giovane americana originaria del Bangladesh, è stata l’ideatrice di questo evento che ha preso vita nel 2013 e mette in risalto talmente tanti aspetti intrinseci e contrapposti da far sorgere, perennemente, una diatriba attorno a questa tradizione, ancora viva e fortemente sentita nel mondo islamico. E’ la rappresentazione materiale di valori, ideali  e tradizioni millenarie.

Hijab, Niqab, Chador, Burqa, Al-Amira, Shayla, Khimar sono i diversi nomi che gli vengono attribuiti, in relazione agli Stati nei quali viene indossato. Esso presenta una pluralità di caratteristiche e di storie che mostrano le differenze religiose, culturali di ciascun Paese e, al tempo stesso, l’unicità di pensiero che ne “giustifica” l’uso: ovvero, il dovere di indossarlo per rispetto di Allah, ma ancor prima di se stesse. (in foto di copertina: donne con il velo a Istanbul) Non indossare il velo significava, e significa ancora oggi in alcuni Stati, mostrare una totale mancanza di pudore: indossarlo era, ed è ancora invece, una sorta di dovere da rispettare per preservare la propria dignità, l’esser donna, ma, al contempo, il dovere di mostrarsi obbediente all’uomo, di sottomettersi allo stesso.

Una sottomissione non dettata da alcuna legge, semmai da un’errata ma volontaria interpretazione di essa., ovvero del Corano. Eppure si tratta di una tradizione così radicata da non lasciare, spesso, spazio a contestazioni. Tuttavia, nel corso dei secoli si è fatta sempre più evidente la rivendicazione, da parte delle donne, della propria libertà fisica e morale e non è mancata la voglia di ribellarsi ad un sistema così “dittatoriale”. Già nel 1899, il giurista Qasim Amin scrisse il libro intitolato “La liberazione delle donne” col quale metteva in luce l’assurdità di un tali imposizioni, della tradizione in sé ed esortava le donne a liberarsi dalle catene che reprimevano il loro essere.

Amin mostrò l’inesistenza di una vera e propria legge che imponesse alle donne l’utilizzo del velo, mostrando, invece, che la radice profonda di un tale orientamento fosse da rinvenire soltanto nel pensiero maschilista. Moltissime donne decisero di riunirsi in gruppo e fondare un vero e proprio Movimento femminista. In alcuni Stati quali Turchia, Marocco, ad esempio, l’obbligo del velo non sussiste più. Viene indossato soltanto per devozione o dalle donne più anziane che credono ancora nella tradizione.

Anche per le donne musulmane che vivono in Occidente l’obbligo è venuto meno e il velo viene indossato per scelta e, soltanto in rarissimi casi ancora, per imposizione. Questo “indumento”, per quanto diffuso anche in Europa, ha dato e da tuttora vita a diverse problematiche. La questione sull’indossare il velo islamico negli stati occidentali nasce per la diversità di pensiero, nonché religiosa della società, una società completamente contrapposta a quella islamica. Oggi, sono un bel po' gli Stati Europei che vietano alle donne islamiche di indossare il velo.

La Francia è stato il primo stato a vietare il velo integrale, il Burqa e il Niqab, in spazi pubblici quali Tribunali e  scuole ad esempio; lo stesso vale per l’Austria, la Germania, i Paesi Bassi, il Belgio, la Spagna, il Regno Unito, la Russia, la Svizzera, la Danimarca e l’Italia. (in foto n.2 donne islamiche in Danimarca protestano contro il divieto del velo). In Italia vigono divieti locali in realtà non sanciti da una legge statale specifica ma da ordinanze municipali come in alcune regioni, in particolare Lombardia e Veneto che si sono mobilitate al fine di limitarne l’uso attraverso l’adozione di misure dirette a sanzionare tutte coloro che lo indossano.

Tuttavia nel nostro ordinamento esiste una legge che, sebbene non vieti esplicitamente l’uso del velo, indirettamente ne circoscrive l’utilizzo per ragioni più che altro di sicurezza pubblica. Si tratta della L.152/1975 che, all’art. 5,  sottolinea il divieto di “usare caschi protettivi o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza un giustificato motivo”. Ma, in realtà un motivo religioso rappresenta, così come sottolineato dal Consiglio di Stato, un valido motivo.

Ovvero, la possibilità di esprimere la propria religiosità senza alcuna contestazione. Vari Comuni, annualmente  il 1 Febbraio, organizzano incontri diretti a un confronto culturale ma soprattutto giuridico sulla questione. I motivi che inducono a ritenere difficile, se non addirittura quasi impossibile, una convivenza pacifica tra diverse usanze sarebbero da rinvenire nella forma stessa di governo, ovvero un governo parlamentare, che in quanto tale non ammette una subordinazione tra i sessi, una sottomissione della donna, l’utilizzo di un velo che ne nasconda integralmente o parzialmente l’identità.

Viviamo in uno Stato nel quale i poteri Stato-Chiesa sono distinti. Uno Stato che non ammette  la non separazione tra potere politico e religioso. Di conseguenza, se per alcuni l’integrazione è considerata un mezzo attraverso il quale sviluppare una coscienza sociale comprensiva di qualsivoglia differenza e dalla volontà di amalgamare il diverso, consentendogli di coesistere senza nessuna difficoltà, per altri tale coesistenza non può sussistere, o per lo meno può esservi ma solo in parte.

Orbene, il "Wordl Hjiab Day" nasce da tutto questo. Nasce dall’esigenza di comprendere che se da un parte è lecito, per ragioni di identità nazionale o di sicurezza, vietare l’uso integrale del velo, dall’altra non lo è, in quanto dovrebbe essere concessa la possibilità a ciascuno di esprimere il proprio io e le proprie credenze in modo libero e spontaneo. Alessandra Fazio

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