Anche Mauro Rostagno, come altri suoi colleghi, ucciso dalla mafia ma senza un volto. La Corte d’appello assolve il presunto killer Vito Mazzara

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
20 Febbraio 2018 21:33
Anche Mauro Rostagno, come altri suoi colleghi, ucciso dalla mafia ma senza un volto. La Corte d’appello assolve il presunto killer Vito Mazzara

C’erano tante sfumature nella vita e nel pensiero di Mauro Rostagno, tutte spente la sera del 26 settembre 1988, quando venne ucciso, nelle campagne di Lenzi, per mano della mafia Trapanese. È questa, infatti, l’unica certezza a seguito della sentenza della Corte d'assise d'appello della seconda sezione del Tribunale di Palermo.

I giudici hanno confermato l'ergastolo per uno dei due imputati, il boss Vincenzo Virga, ritenuto il mandante del delitto, e hanno assolto il presunto killer Vito Mazzara, che in primo grado era stato condannato all'ergastolo. Nelle scorse udienze i giudici avevano ascoltato la requisitoria dei pg Umberto De Giglio e Domenico Gozzo, seguite dalle parti civili e dalle difese degli imputati. Proprio in corso di requisitoria i pg avevano chiesto la conferma delle due condanne emesse in primo grado.

“L’omicidio di Mauro Rostagno - scrivevano i giudici - era volto a stroncare una voce libera e indipendente, che denunziava il malaffare, ed esortava i cittadini trapanesi a liberarsi della tirannia del potere mafioso, era un monito per chiunque volesse seguirne l’esempio o raccoglierne l’appello, soprattutto in un'area come quella del trapanese dove un ammaestramento del genere poteva impressionare molti”. Rostagno, infatti, con i suoi servizi televisivi gettava luce sugli affari occulti della Trapani degli anni Ottanta, fatta di intrecci tra mafia, politica e massoneria. Il nome di Virga era stato fatto da diversi collaboratori di giustizia, Mazzara, invece, era stato incastrato da un esame del Dna. Alcune tracce genetiche, vennero ritrovate sotto i resti della canna del fucile utilizzato per compiere il delitto.

Ma proprio sulla perizia genetica si sono concentrate le argomentazioni della difesa che ha affermato come i reperti estratti non fossero sufficienti ad arrivare a conclusioni certe. Sui resti del fucile a canne mozze, trovato per terra la sera del delitto a pochi metri dall’auto dove Rostagno fu ammazzato, venne anche trovata un’altra traccia genetica che i periti dissero potere far risalire ad un suo parente: Forse questo aspetto, e cioè che oltre a Vito Mazzara anche almeno un’altra persona avrebbe potuto aver maneggiato quella lupara, può avere indotto i giudici a giungere alla non colpevolezza di Mazzara e quindi a riformare a conclusione del processo di secondo grado, la sentenza di primo grado che aveva condannato all’ergastolo i due imputati.

Una giustizia a metà, che condanna il mandante ma assolve l’esecutore. Ma allora Mauro Rostagno chi l’ha ucciso? È questo l’interrogativo che difficilmente troverà una risposta dopo la sentenza di ieri pomeriggio. «Una sentenza illogica» ha detto la sorella di Mauro Rostagno, Carla, presente in aula, come presente in aula a Palermo era anche la figlia, Maddalena Rostagno, rimasta in silenzio. «C’è da attendere il deposito delle motivazioni per capire - ha detto il suo difensore di parte civile, l’avvocato Carmelo Miceli -. Certo è che c’è un giudizio di appello che conferma come ad uccidere Rostagno è stata la mafia e la mafia più pericolosa».

La storia di Mauro Rostagno è la storia di tanti altri giornalisti assassinati dalla mafia come Mario Francese, ucciso nel 1979, Peppino Impastato, messo a tacere da Cosa Nostra nel 1978, Giovanni Spampinato, assassinato nel 1972, Pippo Fava, ucciso nel 1984, Cosimo Cristina, assassinato nel 1960, Beppe Alfano, ucciso nel 1993 e Mauro De Mauro, rapito da Cosa nostra e mai più ritrovato. Tutti omicidi in cui non si è arrivati all’ individuazione del responsabile materiale dell’agguato. Tutti professionisti della stampa, uccisi per aver fatto il loro mestiere, che scrivevano e parlavano di mafia chiamandola per nome e descrivendola come pochi facevano all’epoca.    

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