“Una punta di Sal”. Molti cartelli “vendesi”: Mazara città dell’“immobiliare”

Redazione Prima Pagina Mazara

Tanti, tantissimi cartelli in centro città o a ridosso con la scritta “Vendesi”. Mazara sembra diventare la città “immobiliare”. Negli ultimi anni c’è stata una moltiplicazione di case cadenti e di case quasi nuove in vendita, sorprendente. Palazzi non se ne costruiscono più perché non c’è la domanda. Per chi ha soldi da spendere c’è l’imbarazzo della scelta. Un drammatico effetto della crisi, viene da pensare. Ma anche una conseguenza del fuoco incrociato di tasse e balzelli sui beni immobili che molte famiglie non riescono più a pagare.

La mancanza di un reddito adeguato sta spingendo molti cittadini a cercare nuove forme di liquidità, piazzando sul mercato case e terreni pronti ad essere sacrificati per disporre di soldi in più. E così, nella Città dove sino a qualche anno fa trovare un’abitazione o un terreno dove costruire una casetta non era poi così facile, adesso le occasioni sono numerose. Dal centro storico, alle zone residenziali, sino alle aree costiere (molti villini sino in vendita), i cartelli “vendesi” spiccano su decine e decine di immobili e terreni.

Un elenco lungo, che trova eco anche su diversi siti internet specializzati e nelle agenzie immobiliari, dove in tanti hanno deciso di piazzare i loro beni con la speranza di trarne liquidità. Nessuno, però, li consideri “numeri”. Dietro ogni aspirante cessione si nasconde infatti una storia personale, che in molti casi trasuda angoscia e sofferenza. Molta gente intende vendere perché è disperata. “Da quando io e mia moglie abbiamo perso il lavoro la nostra vita non è più la stessa – afferma con gli occhi lucidi di commozione un disoccupato di 50 anni – Mettere in vendita la casa che possediamo nell’abitato di Mazara è una scelta obbligata.

Senza un reddito fisso e soddisfacente non possiamo andare avanti. Intendiamo vendere per recuperare liquidità, e condurre, finché i soldi bastano, una vita dignitosa. Purtroppo il mercato è saturo. I prezzi ne risentono. Gli affari non sono sicuramente più quelli che si potevano fare un tempo, ma viste le condizioni che stiamo attraversando, non c’è altra soluzione: o vendiamo o andiamo a chiedere l’elemosina”. Nel centro storico il cartello vendesi di una vecchia casetta attira l’attenzione dei passanti.

Ho messo in vendita la casa appartenuta ai miei genitori – racconta una pensionata – perché tiro avanti a fatica con 600 euro al mese e, purtroppo, su quella che mi viene considerata una seconda casa (che tra l’altro non mi produce alcun genere di introito economico) non riesco a pagare le tasse, ad iniziare dall’Imu. È lo Stato che mi sta costringendo a vendere”. Due storie forti, potenti, che certamente non sono le sole emblema di un periodo di sofferenza che, purtroppo, sta interessando tantissime altre persone.

La crisi non molla. E dalle vendite per creare nuovi investimenti si è passati alle cessioni di case e terreni per sopravvivere. La Città dispone di un centro storico antico, di origini arabe, che nel tempo è andato degradandosi a causa di fenomeni innanzitutto naturali e poi sociali. Una successione di terremoti in decenni differenti ma poco distanti tra loro, l’emigrazione di molti degli abitanti tradizionali verso il nord o l’estero, l’intensità dello sviluppo edilizio nelle contigue aree rurali a partire dalla fine degli anni settanta, la concentrazione di stranieri nelle vecchie case danneggiate e nei vicoli tortuosi che caratterizzano il cuore del centro storico, hanno decretato, almeno sino all’inizio deglianni duemila, un vistoso decadimento di una parte rilevante della città vecchia.

Nel corso del tempo questo dedalo di vie ha finito col caratterizzarsi in termini di nazionalità e di classe. Non che i mazaresi e gli italiani in genere se ne siano mai davvero andati da esso,benché in parecchi lo abbiano fatto, spaventati dalla reputazione del quartiere e dalla insicurezza che lo ha caratterizzato per un breve periodo intorno agli anni ottanta (soprattutto a causa del traffico di droghe pesanti, di ubriachi molesti e degli scippi). Tuttavia, mentre l’area andava accogliendo un numero sempre crescente di nordafricani, aumentava anche il novero di italiani che, in possesso delle risorse minime necessarie, desideravano andare ad abitare nei nuovi quartieri sorti in periferia o in quelli che andavano rinnovandosi lungo le principali vie di accesso alla città, più omogenei in termini sociali.

Questa situazione ha innescato un circolo vizioso per alcuni, ma positivo per altri, che ha determinato l’abbandono di un numero consistente di vecchie case. Il degrado dell’area ha determinato la possibilità per un crescente numero di lavoratori stranieri di accedere alla casa (talvolta alla proprietà di essa) a prezzi contenutissimi, innalzando la disponibilità di risparmio, sia pure in presenza di salari ridotti (in media, di sette o ottocento euro per quelli impegnati in attività regolari).

Proprio questa caratterizzazione dello spazio urbano concorre a rendere Mazara del Vallo una meta desiderabile per un numero consistente di stranieri, che, malgrado la precarietà occupazionale e i bassi salari, continuano a risiedervi dalla fine degli anni sessanta, in barba a qualsiasi considerazione razionalista e a logiche interpretative fondate sui fattori di spinta e, soprattutto, di richiamo. Non doveva tuttavia essere così nella seconda metà degli anni settanta, quando il processo appena descritto iniziava a delinearsi e questa costa della Sicilia appariva la terra promessa per un numero sempre crescente di lavoratori nordafricani, attratti dalla prospettiva di un facile impiego sia nella flotta di pescherecci che nelle campagne circostanti.

La regolazione dell’immigrazione era pressoché inesistente in quell’epoca e gli immigrati, soprattutto tunisini, arrivavano nella zona immaginando di restarvi per qualche anno e poi tornare in patria con un capitale sufficiente ad aprirvi qualche attività autonoma, costruirvi una casa e non dovere più andare via. Si trattava naturalmente di un’illusione, dacché gli immigrati maghrebini dalla Sicilia sud-occidentale non se ne sono mai andati. Ma gli anni settanta sono un periodo di mobilità anche per altri gruppi nazionali.

Dai territori della ex Jugoslavia, per esempio, arrivavano piccoli gruppi di rom, a volte delle carovane, composti da famiglie oppure da individui giovani e soli, impegnati a sbarcare il lunario con mezzi di fortuna. Anche loro hanno trovato rifugio in case quasi diroccate o con muri fatiscenti, nella perpendicolare che si allunga dal porto a piazza San Michele.

Salvatore Giacalone