Ultime della sera: “La poetessa vestita di bianco”
Capelli raccolti, abito bianco, passo leggero e modi aristocratici. Nessuna emozione particolare trapelava dal suo viso, gli occhi attenti e vigili si posavano su tutto ciò che la circondava, l’anima era sempre aperta all’ascolto. Così si presentava Emily Dickinson ai suoi ospiti: eterea, ineffabile, leggendaria, come i racconti di chi affermava di vederla uscire in carrozza all’imbrunire e percorrere, non vista, le vie di Amherst. In molti hanno cercato di carpire i segreti di una vita trascorsa in una stanza, la vita di colei che è stata definita la più grande poetessa dell’età contemporanea, tentando di scoprire il motivo di un progressivo e voluto distacco dal mondo, che ha determinato circa vent’anni di solitudine, nutrita soltanto di rapporti epistolari con figure importanti tra amici e letterati del tempo.
Definita matta, eccentrica, ma anche delusa e frustrata, Emily fu legata quasi morbosamente alla sua famiglia, dalla quale non si separò mai. La sua vita si svolse tutta nella casa paterna, in cui la Dickinson trovò tutto ciò di cui aveva bisogno: una stanza, i libri e l’affetto dei propri cari. Disegnare un suo ritratto non è facile, ma sono i molteplici componimenti che scrisse e mai pubblicò, così come le numerose lettere, a darci un’idea del suo mondo interiore e farci capire la scelta di una vita solitaria.
Amava comporre poesie, la sua vita era la letteratura. Dalle poesie traeva conforto e benessere e, dopo vari tentativi di trovare il suo posto nel mondo, intuì che poteva essere veramente se stessa solo nella sua stanza, lontana dalla mondanità e dalle regole imposte dalla comunità. Ebbe difficoltà a divulgare le sue poesie e delusa dai rifiuti provenienti dal mondo editoriale si limitò a scrivere solo per se stessa. A Mr Higginson, il suo mentore letterario, aveva inviato delle lettere chiedendo un parere sui suoi versi : “ Mr Higginson, è troppo occupato per potermi dire se i miei Versi sono vivi? La mia Mente sta così attaccata a sé stessa, non è in grado di vedere, ed io non ho nessuno a cui chiedere.
In caso pensasse che essi hanno respirato, e se Lei avrà il tempo per dirmelo, io sentirò immediata gratitudine. Se ho fatto degli errori, e lei avrà il coraggio di dirmelo, ciò susciterà un onore ancora più sincero nei Suoi confronti… Mi piacerebbe imparare. Mi potrebbe dire come crescere o non si può esprimere, come la Melodia e la Stregoneria? La mia dimensione mi sembra minuscola”. Dalla lettera emerge un’ umiltà sincera e soprattutto un forte desiderio di migliorare; ma anche una notevole fiducia nel mondo e nelle persone, alle quali Emily si rivolgeva sempre con molto affetto.
La sua decisione di allontanarsi dal mondo non fu la conseguenza di una considerazione negativa degli altri, ma di se stessa. Infatti non riscontrava in sé quelle caratteristiche imprescindibili, in quell’epoca, per essere ammirata dagli uomini. Non si vedeva bella, né si sentiva docile e non provava un sincero sentimento religioso. Tutto ciò le provocava un senso di inadeguatezza. Ecco perché si allontanò e restrinse la sua vita alle pareti della sua stanza e del suo cuore! Dal profondo del cuore Emily però non smise di amare, né di sperare di incontrare un giorno un’anima simile alla sua.
Le furono attribuiti molti innamoramenti durante la sua breve vita, ma l’amore veniva vissuto dalla Dickinson come un ideale, che non si concretizzò mai in una relazione. Emily si innamorava e viveva di desiderio, di sogni e di speranze. Viveva i suoi amori in modo passionale e perfetto, proprio perché non venivano in nessun modo intaccati dalla realtà, con la quale sapeva bene di non poter scendere a compromessi. Amori tutelati dall’impossibilità, come quello per il reverendo Wadsworth, a cui sembra abbia dedicato i suoi versi più belli, ma che incontrò solo due volte.
L’amore e la passione erano dentro di lei e si nutrivano esclusivamente di interiorità, di un sentire profondo e di una vivida immaginazione che traboccava ma non toccava l’esistenza che continuava senza di lei, dietro il vetro della finestra. Josepha Billardello