Ultime della sera. “Dalla crisi alla nuova umanità”
Da milanese, quando sono stato forzatamente invitato dal barista ad accomodarmi al tavolo per un semplice caffè, mi sono sentito stranito: è in quel momento che ho capito che eravamo in una situazione di emergenza - o di "eccezione", come ha scritto il filosofo Giorgio Agamben sul Manifesto. Il caffè più che rapido, espresso, da 5 secondi netti, al bancone, è una delle caratteristiche del capoluogo lombardo. Togliercelo significa dirci: c'è qualcosa che non va; stiamo attenti. Fastidioso, certo, ma da questi piccoli ostacoli ai nostri rituali quotidiani possiamo però imparare molto.
Da tempo, per fortuna, non abbiamo vissuto nessuna guerra diretta o vicina - nessuna crisi. E questa è l'unica emergenza che abbiamo finora esperito. Ecco, ora che la crisi, invisibile eppure così fisica nei suoi effetti (come dover stare a un metro di distanza l'uno dall'altro o non poter servirsi al bancone di un bar), ci tocca da vicino, è il momento di comprendere quanto siamo fragili nelle nostre sottili sicurezze; eppure così uniti nella diversità che ci accomuna. Siamo tutti malati - questo ci dice il virus: dall'assessore al mendicante.
Sfruttiamo dunque questo periodo di limbo e quarantena per riflettere sulla nostra condizione umana. Se diffidiamo gli uni degli altri siamo destinati a fallire sempre più; se invece ci aiutiamo a vicenda, allora possiamo superare qualsiasi controversia. Diamoci "la mano", ora più che mai. Alessandro Isidoro Re