Ultime della sera: “Antropologia Organizzativa”

Redazione Prima Pagina Mazara

Da sempre l’essere umano, in un modo o in un altro, si è interrogato sul senso della propria esistenza, sul proprio posto nell’ordine dell’universo, sull’origine e sul perché del vivere insieme.

La sfida della contemporaneità sta nel tentativo di approfondire queste domande come unità complessa, senza rinunciare alla specifica competenza di ciascun apporto. L’essere umano, nella sua unità e unicità, non può venire ricondotto o ridotto ad un solo aspetto.

Da qui il desiderio di interrogarsi, nella consapevolezza che è attraverso una sinergia transdisciplinare la possibilità di individuare istanze capaci di fecondare ulteriormente il comune desiderio di abitare il nostro tempo, di favorire una socialità che, nel valorizzare la persona, promuova un senso di appartenenza fondato sulla responsabilità condivisa, in funzione della famiglia umana.

Tale visione può essere sostenuta con il contributo particolarmente significativo della cosiddetta Antropologia Organizzativa. Vediamo per estrema sintesi il perché di tale proposta.

I teorici dell’organizzazione sostengono che le organizzazioni si formino dalle attività che gli individui non sanno esercitare per proprio conto, o che non possono essere eseguite con altrettanta efficacia ed efficienza rispetto a quanto possibile con lo sforzo di un gruppo organizzato.

L’uomo, con le sue determinazioni biologiche che lo rendono capace di vari comportamenti, è capace di svilupparsi non solo in un ambiente naturale, ma anche in uno specifico ambiente sociale e culturale: la condizione umana non è pensabile se non in termini di organizzazione sociale.

Adam Smith è tra i primi studiosi a sviluppare una teoria per spiegare come il lavoro sistematicamente organizzato potesse rendere più efficiente la produzione, ovvero che - tra le espressioni primarie della vitalità umana - attraverso il “lavoro organizzato”, l’uomo riesce a liberare la propria condizione umana da incertezze, debolezze dell’esistenza e tramite una efficiente produzione conquistare livelli di soddisfazione dei bisogni sempre più elevata affrancandosi dal senso di precarietà indotto dalla sua breve esistenza in vita (nel corso della storia). Egli riteneva che il progresso economico generato dall’industrializzazione avrebbe condotto al progresso sociale, quindi ad un maggior benessere per la condizione umana.

L’industrializzazione ed il capitalismo, invece, quali forme organizzate di esistenza di gruppo, alla luce dell’esperienza contemporanea, non sembrano sostenibili come risposte al progresso sociale né tantomeno biologico dell’uomo e della natura (da esso fortemente condizionata).

Si sono evidenziate troppe ingiustizie sociali, tanto da provocare il grido di Papa Francesco secondo cui «questa economia uccide» (Evangelii Gaudium 53). La Dottrina Sociale della Chiesa insegna che alle origini delle disparità non ci sono calcoli matematici sbagliati, ma una profonda crisi antropologica. Non riusciamo più a mettere al centro l’uomo con i suoi bisogni e le sue necessità, con i suoi sogni e le sue aspirazioni. Quando si dimentica il valore dell’uomo si finisce per strumentalizzarlo e farlo diventare mezzo per altri interessi come il profitto a tutti i costi. Allora ci si scopre spietati e, quasi inavvertitamente, corresponsabili di strutture di peccato che nessuno vuole, ma che tutti manteniamo in piedi attraverso il nostro stile di vita e attraverso le relazioni che costruiamo. Si rischia così di rimanere scandalizzati da un’«economia senza volto» (Evangeli Gaudium 55).

Contrariamente a quello che siamo abituati a pensare – diceva Max Weber – “l’economia non è una macchina, ma una costruzione sociale e traduce in consistenza materiale l’evoluzione spirituale di un popolo”. Gli imprenditori e i dirigenti d’azienda devono riconquistare – come fecero i loro predecessori all’epoca dell’umanesimo (XV sec.) – il ruolo di guida nella promozione di una nuova economia come forma di carità, di un nuovo sviluppo in chiave spirituale, e di un neo-umanesimo in chiave sociale e ambientale.

L’Antropologia Organizzativa offre elementi per leggere e comprendere le particolari culture della convivenza umana sotto forma di organizzazione sociale. Tale prospettiva tiene conto di due convinzioni di partenza: l’intrinseca struttura relazionale dell’essere umano, nella quale sono insite le condizioni di possibilità della sua stessa esistenza; la complessità della realtà e i molteplici approcci che di essa si hanno. Ciò implica l’approfondimento di un metodo transdisciplinare che svolga una funzione critica nei confronti dei diversi riduzionismi, per promuovere la cultura di una socialità plurale e poliedrica convergente verso il bene comune.

di Cinzia ROSSI

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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