Ultime della sera: “Agli amici fragili”
Ehi!”
Si volta.
“Ciao Stella.”
“Andrea! Come va?”
“Mah. Dipende…”
“Quando sei arrivato? Che faccia…”
“Ieri.”
“Come stai? Sempre peggio?”
“Sempre in gabbia…”
Sorride, finalmente. Sorride così, ed ha sempre lo sguardo lontano. Non è di questa terra, non appartiene a nessuno. Neanche le mani sono sue. E’ come tanti pezzi di gente cucita insieme, senza un legame, una storia comune, una vita. Dio mio. Resto così, con tante parole dentro, la voglia di abbracciarlo, di respirare insieme quest’aria fresca e salata, fresca. Rosa l’acqua del mare.
“Vieni con me?”
La piazza si allontana, si allontanano le voci, si allontana svelto anche il giorno, e le cose banali. E’ arrivato Andrea. Cammina a modo suo, un po’ avanti, un po’ indietro, non ti sta mai accanto. E si attorciglia i riccioli con dita lente, dolci.
“Sei già stato a…”
Che scema, è arrivato ieri. Non serve fare domande così. Mi accorgo del silenzio. Si allontana la piazza, si sente finalmente il rumore del mare che si frange sugli scogli, piano piano. Il mare si è disteso a raccogliere gli ultimi raggi del sole. Penso che vorrei essere mare, ecco. Scaldarmi di luce e ridare tepore alla terra, con gesti lenti donare abbracci e carezze, come queste onde. Sarei sempre così. Una barca si allontana, o ritorna, che importa? Lascia un segno nell’acqua denso, continuo. Andrea gioca. Mi accorgo del silenzio. Parlano i pensieri, mi sembra di sentirli, e Andrea ci gioca. Volano via, li riprende, li ferma. No, non è così, via di nuovo.
“Sempre in gabbia. Che cazzata. Non serve a niente. Perdo solo tempo, capisci? Perdo un sacco di tempo e la vita è così breve. Non mi può bastare una vita. Ho troppe cose da fare, capisci?”
Continua a giocare, come se parlasse un altro di cose che non gli importano. Ti do la mia vita? Per colorarla. Tracce di fiori, di cielo, sempre più grandi, fino a riempire le braccia.
“Non ti fermi mai…”
Si ferma, invece. Mi scuote i capelli, ridendo. Il sole muore sull’acqua, tinge tutto di rosso. Sul mare volano i gabbiani. C’è sempre un segno di vita intorno.
“Non posso. Come faccio? Scema che sei, se mi fermo muoio. Ah!...”
Fa finta e si accascia sui ciottoli. Resta così.
“Quando vai a…”
“Non vedi che sono morto? Non posso più andare da nessuna parte. Ho finito di volare.”
Guarda il cielo.
“Una stellina, guarda… Plin! Un’altra. Plin! Plin! Altre stelline…”
Mi guarda.
“Plin! Un’altra Stella…” Sorride. E’ solo un momento. E’ già a giocare con l’acqua e i sassi. E’ come se ad ogni saltello sull’acqua gli andassero via la tenerezza e il sorriso.
“Vado domani mattina, forse.”
Strisce di luce tremano sull’acqua. Luci della strade e del porto.
“E tu che fai? Al solito, sempre indaffarata, questo, quello e quell’altro, e di qua e di là… Li cogli sempre i fiori per strada? Da noi non si vede un fiore. Ancora per poco, per fortuna.”
“No, ho imparato. Li guardo e basta. A volte li sfioro, ma resisto.”
Come resisto adesso a prenderlo per mano. E’ come un fiore di strada. Non si può raccogliere, vivrebbe poco tempo. E così ogni tanto lo sfioro con lo sguardo.
“Brava, e poi?”
“E poi tante cose, lo sai. Dai, ti accompagno, è tardi.”
“E’ tardi, è tardi! Devi imparare un sacco di cose, cazzo. Che importa? E’ tardi per chi? Perché è buio o è finito qualcosa? Non si vive così, non ti puoi regolare col tempo di fuori, capisci, col sole o i giorni, le stagioni, i minuti, le cose. Ognuno deve trovare dentro il suo tempo.”
Capisco. E’ questo che mi lega ad Andrea, lo so, ma è questo che mi separa da lui. Gli ultimi pensieri si disfano, ritorna il rumore della piazza, tornano le voci. Non sento più l’acqua lenta sugli scogli.
“Quant’è che ti fermi?”
“Cinque più due.”
Mi scompiglia i capelli.
“Ciao Stella.”
Si allontana veloce tra la gente che va e viene. Gioca con altri pensieri.
di Antonella MARASCIA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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