Mafia, la sottile linea rossa fra la “pax” di Matteo Messina Denaro e la guerra per il controllo del territorio

Redazione Prima Pagina Mazara

“Un pericolosissimo contesto, idoneo, come la tragica storia di ‘cosa nostra’ insegna, a scatenare reazioni cruente contrapposte, e quindi a dare il via ad una lunga scia di sangue”. Così la Procura di Palermo ha scritto nell’ordinanza dell’imponente operazione “Anno Zero”.

L'Operazione ha portato all’arresto nelle scorse ore, su disposizione dei magistrati della Direzione distrettuale Antimafia di Palermo, di 22 soggetti residenti a Castelvetrano, Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Partanna indagati per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle modalità mafiose. Tutti ritenuti componenti della rete a protezione e sostegno di Matteo Messina Denaro che dal 1993 da latitante avrebbe il controllo della cosca mafiosa del trapanese e degli affari di “cosa nostra” nello stesso territorio.

Secondo i magistrati vi sarebbe stato il serio rischio di una nuova guerra, con azioni violente per il controllo del territorio. Una guerra fra personaggi “emergenti” e non e la cerchia più stretta a sostegno del superlatitante castelvetranese che da qualche anno, forse a causa dei frequenti arresti, avrebbe allentato il suo controllo; già lo scorso 8 luglio, due giorni dopo l’omicidio Marcianò in un articolo parlammo della possibilità dell’inizio di una nuova “guerra di mafia per il controllo del territorio di Matteo Messina Denaro”.

Probabilmente in questo quadro si inserisce per l’appunto l’omicidio avvenuto nel luglio scorso, nelle campagne tra Campobello di Mazara e Tre Fontane, di Giuseppe Marcianò, 47 anni, originario di Carini ma da anni lavorava a Campobello di Mazara. Le indagini furono svolte dai carabinieri del Nucleo investigativo di Trapani e coordinate dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Paolo Guido. Secondo le prime ricostruzioni, Marcianò sarebbe stato freddato da due killer.

Le modalità del delitto e la vicinanza della vittima ad ambienti di “cosa nostra” fecero subito pensare a un omicidio di mafia, altra pista quella del traffico di migranti, ma può darsi che due cose fossero collegate. Marcianò era alla guida di una moto quando è stato sorpreso dai killer che lo hanno centrato alle spalle con diversi colpi di arma da fuoco. I sicari dopo il delitto hanno abbandonato, a circa 200 metri dalla sparatoria, l'auto, una Fiat Punto (vedi foto di copertina), usata per l'agguato, alla quale hanno appiccato il fuoco. La vittima, che aveva precedenti di polizia, era genero di Pino Burzotta, ex consigliere comunale del Psi di Mazara, arrestato e poi assolto nell’ambito dell’indagine antimafia “Petrov”, persona spesso citata in indagini antimafia.

Lo zio di Marcianò, Diego Burzotta, ritenuto il boss della famiglia mafiosa di Mazara, fu arrestato nel 1998 in Spagna dov’era latitante, aveva iniziato a collaborare ma poi decise di non parlare più. Nel 2001 gli fu notificato un ordine di custodia cautelare in carcere con l’accusa di aver “gestito” attività illecite legate a “cosa nostra”; fu condannato all’ergastolo per omicidio.

Chissà che quell’omicidio, avvenuto secondo le più tradizionali tecniche di esecuzione adottate dai “corleonesi”, non sia stato un segnale lanciato dallo stesso Matteo Messina Denaro nel volere disincentivare qualsiasi tentativo individuale, o di un gruppo, dall’affrancarsi dal suo controllo, o ancor più nel volere tagliare sul nascere un tentativo di scalata per il comando del territorio.

Questa nuova situazione culminata con gli arresti nell’operazione “Anno Zero” impone degli interrogativi, uno fra tutti: a causa della sua latitanza, consumata in luoghi fuori dal suo territorio, sarebbe in discussione la “leadership” di Matteo Messina Denaro in seno alla mafia della Sicilia occidentale?

Vi è forse una “crisi di potere" dovuta dalla mancanza  di un "collante generazionale” all'interno della cosca trapanese? Ciò sarebbe stato causato dalla  mancanza di alcuni grandi vecchi (diversi arrestati e qualcuno deceduto) che garantivano quella "cinghia generazionale" fra la vecchia mafia corleonese e la nuova generazione che "venera" Matteo Messina Denaro. (in foto n.2 un incontro fra i vecchi boss di Mazara e Salemi, Vito "Gondola" e Michele Gucciardi).

Questa nuova situazione potrebbe rompere la "pax" degli ultimi 20 anni e aprirebbe una nuova fase della storia di “cosa nostra” nel territorio caratterizzata da una nuova stagione di violenza. 

In questo contesto è tornato in auge pertanto il dibattito sul presunto controllo del territorio esercitato dal super boss latitante Matteo Messina Denaro sul quale in questi anni si sono ventilate diverse ipotesi circa la sua mancata cattura. Si ipotizza da un lato che il “capo dei capi” abbia cambiato volto ed identità e rimasto nel territorio, vi è un’altra ipotesi di una sua latitanza fuori dal territorio, chissà nella vicina Tunisia, facilmente raggiungibile in gommone in pochissime ore, oppure in Sudamerica.

Lo Stato ha posto gli uomini ed i mezzi necessari per arrestarne la latitanza? Sarà arrestato al momento giusto, cioè quando servirà (furono così gli arresti di Riina ed altri superboss) e forse al momento la sua latitanza risulta "funzionale" al potere costituito per distogliere l'attenzione dalle grandi manovre politico-economiche che stanno, pian piano, cambiando il volto del “Bel Paese”?

Francesco Mezzapelle

20-04-2018 9,30

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