“Una punta di Sal”. Una presenza storica: gli ebrei a Mazara

Le testimonianze di studiosi e viaggiatori del tempo. Un racconto attraverso le vie della “Giudecca” mazarese

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
29 Agosto 2022 10:03
“Una punta di Sal”. Una presenza storica: gli ebrei a Mazara

Nel centro antico della città, nel cuore del quartiere ebraico, tra la Piazza S. Michele e la piazzetta della reggia-fortezza del sultano IbnMankut, si consuma la Via Goti dagli stanchi edifici, erosi dal tempo (in copertina una foto di alcuni anni fa). Il toponimo deriva dal nome Li Voti, un ebreo, abitante in questa strada che l’addetto alla toponomastica nel 1865 erroneamente cambiò in Goti. Questa via, larga circa cinque metri, ad impianto urbanistico di stile islamico, dopo lo sbocco nella Piazza Marchese, adesso Piazza Francesco Modica, un tempo, proseguiva fino a raggiungere la via Bagno e andava a respirare la salsedine marina, la sabbia rossa del Ghibli, e ad origliare il rauco grido dei gabbiani nella piazza dei pescatori.

Ancora persiste, accanto all’ex cinema Diana, il vicolo che sboccava nella Piazzetta Marchese. La giudecca si estendeva dalla Via S. Antoninello fino alla Via Porta Palermo, mentre la Via Goti, un tempo denominata Via della Giudecca, ne costituiva la strada principale. Il quartiere ebraico era da considerarsi come il risultato naturale di aggregazione etnica e non di norme legislative. Alla scoperta della Giudecca. Una passeggiata tra i vicoli ricchi di storia in una zona della città che taluni chiamano ancora “ghetto”.

Padre Pisciotta, che è di Campobello di Mazara ma è stato per tanti anni professore di filosofia al liceo Classico di Mazara, alza la testa e con voce ferma dice: “A Mazara non sono mai esistiti ghetti ma autonomamente gli Ebrei si erano insediati per motivi logistici nel quartiere di torre Bianca, gli islamici nel rione di San Francesco mentre i cristiani abitavano soprattutto nel quartiere di san Giovanni. Nei tre rioni sorsero i luoghi di preghiera: se i cristiani ebbero la Cattedrale, sita di fronte al castello ruggeriano, gli ebrei ebbero la loro sinagoga, dove oggi sorge la chiesa di sant’Agostino, gli islamici edificarono la loro moschea dove oggi si staglia la chiesa di San Nicolò di Bari”.

Nelle guide ai monumenti di Mazara si indicano chiese e strade ma non viene segnalato nemmeno il tracciato ebraico che coinvolge una parte del centro storico. “Sarebbe interessante – afferma una guida turistica che porta a spasso degli olandesi – perché ci può essere un collegamento con la kasbah”. “Il cortile più grande – spiega lo storico Mario Tumbiolo - era il cosiddetto “Cortile grande” o di “la Jureca a San Michele”, oggi scomparso ma nei pressi sorge la chiesa di Sant’Agostino, un tempio oggi cristiano ma una volta al centro del movimento ebraico della città.

L’edificio venne conservato inalterato fino al 1750, quando i Confrati della Buona Morte lo demolirono per erigere l’attuale chiesa. L’attuale Via Goti -rua de la Jureca- entra profondamente nel quartiere ed è un asse viario dall’andamento caratteristico, cui si intersecano tante viuzze. Questa via si congiungeva con la via Pilazza. La Jureca iniziava dai muri orientali della città, dove un tempo era il Carminello, e finiva alle prime case della Piazza Regina Giovanna di Napoli (tra Cortile Pico, la Pilazza e la Piazzetta Bagno, dove le carte notarili posteriori indicano la torre cosiddetta di Prete Nicolao).

Quest’area fu il quartiere ebraico, mai ghetto, dove peraltro abitavano anche cristiani, per lo più operai”.

E’ stato acclarato che tra le 57 comunità -o Giudecche- di Sicilia nel Medioevo una delle più significative è quella di Mazara. Secondo la storiografia tradizionale, la prima attestazione letteraria di Mazara è quella di Beniamino da Tudela, mercante ebreo di Spagna, che scrive un diario di viaggio nel sec. XII in cui cita la città, non soffermandosi però sulle caratteristiche di questa comunità. Ma, ben prima di Beniamino da Tudela, vi sono testimonianze tratte dalla Geniza del Cairo (scoperta nell’800): si tratta di un archivio-magazzino della sinagoga di Ben Azra, una volta zona di ricchi commerci e luogo di residenza di molti ebrei e mercanti.

La professoressa Francesca Paola Massara, attuale responsabile del locale museo diocesano, studiosa del fenomeno nonché relatrice di convegni sull’argomento, afferma che “un altro documento storico sugli Ebrei di Mazara è una lettera del giovane Perachja, nato a Mazara e diretto in Egitto, che scrive al padre durante il suo soggiorno a Messina nel 1154. Molto interessante è la lingua usata, un giudeo-arabo con elementi di volgare siciliano, oggetto dei fondamentali studi di Benedetto Rocco.

Altri documenti importanti dimostrano che la comunità di Mazara aveva un’organizzazione autonoma, e precisano anche la quantità di oro da versare ‘al rapacissimo regio fisco’ in diverse e speciali circostanze”.

Risulta che gli Ebrei pagassero anche una tassa sul vino e altre tasse, tra cui quella per l’esercizio della propria religione. Abili mercanti, commerciavano a fianco di genovesi e pisani. Lo storico mazarese Filippo Napoli nella sua “Storia della città” racconta che “erano non meno di 500 i componenti la comunità, non solo perché questo numero rappresenta poco più di un decimo della popolazione ebraica in Sicilia, ma ancora perché gli ebrei di Mazara chiamati a pagare nel 1492 un tarì per ogni famiglia, versarono nelle mani del commissario Michele La Brusa onze 4, 10 corrispondenti a 130 famiglie”.

La maggior parte si dedicava all’agricoltura, alla pastorizia, all’artigianato; in particolare erano fabbri, tessitori, tintori, tagliatori di pietra (pirriaturi), falegnami, muratori, bottegai, ma anche farmacisti e medici di valore. Ma quello che è poco noto è che vi era anche un’attività intellettuale di levatura tra gli Ebrei di Mazara; la cittadina costituiva anche un buon mercato librario, dove si distinguevano eruditi come Callimaco Monteverde (ebreo poi convertito al Cristianesimo), autore di un “De laudibus Siciliae”.

Il 12 gennaio 1493, per l’attuazione dell’inflessibile decreto di espulsione, tutti i beni privati e comunitari degli Ebrei furono posti sotto la tutela nominale del Re, o meglio “del vorace fisco regio”. Molti, per salvare se stessi e le proprie sostanze, preferirono la conversione, vera o apparente. Nel secolo XV gli Ebrei costituivano una percentuale significativa della popolazione: la città soffrì molto per lo spopolamento ed il venir meno di una importante componente economica e sociale.

La passeggiata finisce qui ma del periodo ebraico di Mazara ci sarebbe ancora tanto da raccontare.

Salvatore Giacalone  

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