Ultime della sera: “Il museo della Medicina ospedale Santa Maria della Pietà”

Il Sifilocomio: una storia da raccontare

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
27 Luglio 2022 18:40
Ultime della sera: “Il museo della Medicina ospedale Santa Maria della Pietà”

Sulla piazza principale di Modica, oggi piazza Matteotti, si apre uno scorcio che invita ad insistere con lo sguardo. Il curioso scorgerà una scritta sulla facciata di un edificio che oggi molti fanno fatica a decifrare. Si legge nero sul bianco della facciata “Sifilocomio Campailla”. Ai nati negli anni ’60, ai figli degli antibiotici, quella scritta ha bisogno di essere spiegata e cosa accedesse lì dentro è una narrazione che vuole essere raccontata. La storia parte da lontano. Da molto lontano e ancora qualcuno dibatte sull’inizio preciso.

Noi ci fermiamo alle carte e ai documenti che perlomeno ci indicano un sentiero. Alexandri Benedicti Veronesis al seguito delle truppe napoletane contro i francesi scrive nel 1497 una lettera: “al momento in cui pubblico la mia opera, tramite contatto venereo è giunta a noi dall’occidente una malattia nuova, il mal francese”. La malattia si diffonde rapidamente in tutta Europa e da quel momento affligge e offende pesantemente corpo e anima degli ammalati. Il corpo perché “le sofferenze sono così atroci che questa malattia sorpassa in orrore la lebbra, o l’elefantiasi e la vita è in pericolo” e l’anima perché essendo una malattia sessualmente trasmissibile viene subito contraddistinta come “il male della vergogna”.

A farne subito le spese è la metà dell’universo che all’epoca dei fatti non ha facoltà di esprimere la propria opinione: le donne, e ancor peggio le donne prostitute. La letteratura di tutto il ‘500 le descrive come le sole responsabili del contagio e le addita come le uniche untrici. Basta leggere Matteo Bandello o Pietro l’aretino per avere un’idea e insieme a loro uno scrittore non meglio identificato che si firma “lo zoppino”. Nelle pagine di quest’ultimo la descrizione delle prostitute è pura misoginia.

Peccato però che l’uomo è responsabile tanto quanto la donna della diffusione della Sifilide e che ignaro seguita a seminare in lungo e in largo il terribile Treponema palidum batterio della Lue. Le cure della malattia sono lasciate alla pura inventiva degli stregoni del tempo. Dobbiamo aspettare il 600 per avere una parvenza di cura. Si tratta delle botti mercuriali che venivano usate in Francia. 

Il malato veniva invitato a sedere dentro una botte escludendo la testa e all’interno si sperimentava una fumigazione a base di mercurio. Ma è del 1698 una rivoluzionaria innovazione che prende corpo a Modica con Tommaso Campailla, sì, proprio lui, il filosofo, scienziato, letterato Tommaso Campailla modicano di nascita e che mai abbandonò la città. Egli mise a punto una innovazione che rese la cura con le botti molto più efficace. Il Campailla modificò la botte che divenne una vera stufa tagliando la parte superiore della botte e ponendovi sopra un vero e proprio coperchio di canne e gesso, come si faceva coi forni e coi tetti delle abitazioni.

Il malato era invitato a sedere all’interno della stufa, nudo, che veniva portata a 40 gradi. La seduta durava 25 minuti e per fumigazione e per inalazione a giorni alterni il malato respirava fumi di mercurio. La cura messa a punto a Modica fu un metodo riconosciuto come valido in tutta Europa e a Modica all’ospedale Santa Maria della Pietà arrivarono ammalati da ogni dove. Le stufe furono poi impiantate a Palermo dove si continuò a utilizzare il metodo Campailla. Tutto questo durò per 250 anni.

Nel 1950 arriva anche a Modica la penicillina mettendo fine alle fumigazioni mercuriali che ricordiamolo erano efficaci ma non guarivano la Sifilide. Oggi tutto questo è un racconto ancora in fase di studio e approfondimento poiché alla fine dell’800 e per tutta la prima metà del ‘900 la Sifilide che contagia militari e prostitute al seguito degli eserciti, miete migliaia di vittime. La storia delle prostitute ammalate, riconosciute ancora una volta, come le uniche responsabili della diffusione del morbo, si intreccia con la storia dei bambini esposti, con la vicenda delle balie al loro servizio e con un sistema che riorganizza il “regolamentato della prostituzione”.

Regolamento dai toni e dalle sfumature vergognose perché riconosce la piaga della prostituzione come necessaria e pur tollerandola non la ammette ma sfrutta le poveracce senza proteggerle. Ricordiamo che in pieno ‘900 una donna in odore di meretricio veniva denunciata alle autorità e “invitata” alla visita ginecologica e del cavo orale, se sospettata di Sifilide veniva inviata all’Ospedale Santa Maria della Pietà divenuto nel frattempo Sifilocomio provinciale e lì reclusa per settimane.

Un uomo con i segni della malattia era curato preferibilmente in ambulatorio rimanendo libero di infettare la moglie e altre povere ragazze. Quella del Sifilocomio “Tommaso Campailla” è una storia che si può ascoltare se viaggiando in Sicilia approdate a Modica al museo della medicina dove vi aspettiamo per raccontarvela.

di Marcella BURDERI

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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